GUAI AI FINTI
di Maurizio Targa


Alexia inizia giovanissima a cantare ma assapora i primi successi nel 1995 quando interpreta "Me and You", successo in Italia e Spagna; nel 1996 è la volta di "Summer is Crazy" e la prima partecipazione al Festivalbar; a fine anno esce il terzo singolo "Number One". Alexia comincia a farsi conoscere e a diventare famosa in tutta Europa.Il 1997 regala il primo album "Fan Club" ed il nuovo singolo "Uh La La La" il cui video viene girato a Miami. Marzo 1998, il successo le arride con "Gimme Love", nel frattempo in Inghilterra una versione remixata di "Uh La La La" brucia le chart ed Alexia viene invitata a prendere parte ad importanti shows televisivi tra cui "Top of the Pops".

In Italia continuano le partecipazioni al Festivalbar ed il '98 regala all'artista diversi dischi di platino, un nuovo album, "The Party", ed ancora un paio di singoli "The Music I like" e "Keep on Movin'". Nel 1999 il suo album "The party" è stato distribuito nei due più importanti mercati mondiali, Usa e Giappone, con ottimo successo; nel frattempo Alexia stava scrivendo le canzoni per un nuovo album uscito poi durante l'anno, anticipato dal singolo "Goodbye" e seguito dalla title track "Happy".

Alexia pubblica un nuovo mix intitolato “Ti amo ti amo”, in cui per la prima volta la lingua italiana è presente nel testo. All’estero fa faville e arriva ad avere svariati dischi d’oro e di platino tra Finlandia, Brasile, Francia. Eppure la gente ancora si chiedeva se Alexia fosse italiana o no (tant’è che nei negozi l’album si trovava spesso tra i dischi stranieri). Alexia è l’italianissima Alessia Aquilani, nata il 19 maggio 1967 a La Spezia. La sua parabola evolutiva ha termine al Festival di Sanremo del 2002, anno in cui è stata ammessa alla categoria "big" con "Dimmi come...", ottenendo un meritato secondo posto e la vittoria morale, che non le sfuggì l’anno seguente con “Per dire di no”. E non è certo il primo dei molti equivoci, voluti o meno, che hanno costellato la storia della musica pop italiana….



GUAI AI FINTI!!



Cominciamo dagli anni ’50: si è appena spenta l’eco della guerra e da poco hanno abbandonato il Belpaese i soldati alleati. La colonizzazione culturale è agli albori e si imitano, anche se in maniera molto ingenua, stili e atteggiamenti d’oltreoceano. Gli uomini si chiamano Fred anche se poi cantano “Doce Doce” piuttosto che “Guarda che luna”, e di cognome fanno Bongusto o Buscaglione (Alfredo e Ferdinando all’anagrafe).

E’ interessante come gli italiani subiscano l’influenza anglo americana, con la stessa intensità con la quale appena un ventennio prima si distinsero per l’isteria xenofoba che portava il regime allora imperante, in eccessi d’euforia nazionalista, a bandire ogni vocabolo o termine straniero dal lessico italiano. Per restare in campo musicale, risalgono infatti ad allora improbabili quanto esilaranti traduzioni letterali di brani e di nomi propri, per cui ad esempio, Louis Armstrong negli anni trenta era noto in Italia come Luigi Braccioforte, o Benny Goodman come Beniamino Buonuomo. Ma eravamo negli anni ’50. Anche le donne usano rendere esotico il proprio nome,come Betty Curtis (Roberta Corti) Flo Sandon’s (la vicentina Mammola Sandon) o Connie Francis (Concetta Rosa Maria Franconero), lei però con “genuine” origini italo americane che fanno molta presa sul pubblico senz’altro meno smaliziato di quello d’oggigiorno.

Sulla stessa “aura” italoamericana faceva leva Johnny Dorelli, pseudonimo di Giorgio Guidi, nato a Meda il 20 febbraio 1937. Figlio del cantante Nino d'Aurelio, figura nota della musica leggera degli anni '40, si trasferisce negli Stati Uniti nel 1946. È in questi anni che decide di cambiare il proprio nome in quello più ammiccante e incisivo di Johnny Dorelli. Tornato in patria con la “dote” di fascino italo americano “Johnny” conoscerà un duraturo e poliedrico successo.

Singolare anche il caso di Teddy Reno alias Ferruccio Merk-Ricordi, triestino che si americanizza il nome e conosce il grande successo cantando in napoletano “Chella là “ o “Malafemmena” e molti altri successi in lingua partenopea. Un giuliano dal nome americano che canta in napoletano, niente male…. Nella schiera si può annoverare una giovanissima Mina, che all’esordio si faceva chiamare Baby Gate. Sergio Bernardini, nell'estate del 1958, intuisce che quella ragazza e' un talento naturale. In una delle tante serate in un localino di Castel Didone, dove si esibisce con il gruppo degli Happy Boys, incontra David Matalon, discografico della piccola casa Italdisc/Broadway, il quale la vuole nella sua scuderia e le fa subito incidere 4 brani, di cui due in inglese : "Be Bop A Lula" e "When" con il nome di Baby Gate (“Baby” perché in contrasto con la sua statura altissima, “Gate” per via di un complesso jazz da lei amato, i Golden Gate Quartet), e due brani in italiano. Successivamente, quando gli Happy Boys decidono di andare all’estero lei non li segue e fonda un suo gruppo,i “Solitari”. Intanto diventa definitivamente Mina, nome che meglio si adatta al suo modo di cantare esplosivo, e continuerà a cantare in italiano, abbandonando così i panni di “finta”.

Sono gli anni ’60: difficilmente si canta in inglese, data la scarsa conoscenza della lingua sia da parte degli artisti che del pubblico, molto più semplice realizzare le “cover” italiane dei successi stranieri; si continuano ad americanizzare i nomi e si clonano i personaggi, meravigliosi esempi Little Tony (Antonio Ciacci) e Bobby Solo (Roberto Satti), lanciati sull’onda del travolgente successo di Elvis Presley, ma le cui caratteristiche vocali erano ancora parecchio “nostrane” e riconoscibili in quanto, nonostante le storpiature finte inglesi (Domenico Modugno, a tal proposito affermava irritato -Quando sento “cosa sono per teeeii” o “sei tornata per meeeiii” da uno che è nato a Ladispoli, imbraccerei il fucile) tuttavia cantavano ancora irrimediabilmente in italiano. Esilarante, se corrisponde al vero, la genesi del nome d’arte di Roberto Satti. Pare che, lui esordiente, il tipografo gli chiese al telefono il nome da mettere sui manifesti. Lui rispose che il suo nome d’arte era Bobby. Il suo interlocutore telefonico chiosò ”Bobby…, e poi??”, “No, Bobby solo” disse Roberto, che vide eseguito alla lettera il suo dettato. Vero o leggendario, l’aneddoto è troppo carino per essere taciuto. Così come è simpatica l’americanizzazione del pugliese Albano Carrisi nello smembramento del suo nome di battesimo americanizzandolo il Al Bano, dal sapore….alcaponiano!!

Potremmo continuare l’elenco dei nomi ammiccanti all’inglese, citando per esempio Enrico Sbriccoli (Jimmy Fontana), Aldo Caponi (Don Backy), Antonio Lardera (Tony Dallara), Nicoletta Strambelli (Patty Pravo, cognome mutuato dal modo in cui alcuni ragazzi “beat” olandesi dell' epoca decidono di autodenominarsi, provos, in riferimento alle "anime prave" di dantesca memoria), potremmo quindi sbizzarrirci a disquisire sul perché nessuno voglia più chiamarsi Antonio (sono infatti tutti Tony i vari Astarita, Renis, Cucchiara, Santagata, Dallara ecc.) o sulla genesi del nome di gruppi quali i Dik Dik, l’Equipe ’84 (era la somma delle loro età, nessun riferimento…Orwelliano) i New Trolls o i Pooh. Ma ormai è chiaro il meccanismo dell’americano all’amatriciana.

In Gran Bretagna invece, nonostante una domanda di musica altrettanto forte (ma che trovava anche nelle prime radio libere una risposta), si verificava un eccesso di offerta, nel senso di un gran numero di gruppi di media e discreta professionalità che non riuscivano a sfondare sul mercato interno. Lo sbocco alternativo primario, come a suo tempo per i Beatles, era rappresentato dalla Germania, dove era anche presente un forte contingente militare americano (e si trattava di giovani di lingua inglese). Il mondo che iniziava ad accorciarsi fece però venire la idea a molti gruppi di spingersi più a Sud, in Italia, o ad alcuni discografici di trovare gruppi, e potenziali successi, nel Regno Unito, e quindi di affidare canzoni da cantare in italiano (con forte accento inglese, gradito, dava un tono di autenticità) a complessi che venivano presentati come già noti internazionalmente. Mal, inizialmente dei Primitives, lo splendido esempio di chi ha trovato l'America da noi, sia detto con simpatia verso il bravo ex capellone poi riciclatosi come cantore delle gesta di....Furia. Esiste addirittura un caso sospetto, di un cantante beat che parlava e cantava con forte accento inglese, si chiamava, o si faceva chiamare, Ricky Shayne e il suo grande successo fu la drammatica canzone Uno dei Mods. Lui diceva di essere americano, del Massachussets, le malelingue che fosse di Trani in Puglia. Tuttora non si conosce la verità.

Senza volerci addentrare nell’universo delle cover che hanno costellato gli anni '60 e parte dei ’70, frutto della summenzionata sovrabbondante offerta anglosassone, citiamo per tutti il caso dei Jaguars (Giovanni Gallo, Pino Bianchi, Luigi Fratini, Silvio Settimi) che facevano il verso ai Beach Boys appropriandosi spudoratamente delle loro canzoni ma costretti, a loro dire, dallo strapotere della casa discografica al mortificante ruolo di replicanti maccheronici del glorioso gruppo d’oltreoceano. Le hanno rifatte tutte o quasi: Ritornerò in settembre cover di Keep An Eye On Summer, Credimi ti amo cover di Spirit of America e sfacciatamente Barbara per la celeberrima Barbara Ann, spesso scimmiottate senza nemmeno inserire gli autori originali nei crediti, sfruttando il Far West che era allora l’Italia nel campo del diritto d’autore.

Negli anni ’70, poi, spuntano gli Oliver Onions, prima con le colonne sonore dei film di Bud Spencer e Terence Hill (o preferite Carlo Pedersoli e Mario Girotti, tanto per restare in tema di…finti è gustoso ricordare che anche il regista dei film più fortunati della coppia Spencer – Hill sentì il bisogno di americanizzare il suo italico nome di Enzo Barboni in E.B. Clucher), film celeberrimi per chi è stato ragazzino allora, tipo “Più Forte ragazzi”, “…Altrimenti ci arrabbiamo” con la fortunatissima “Dune Buggy” (1974, giunta fino al 1° posto in Hit Parade), più avanti con la sigla della seconda serie di Spazio 1999, nel frattempo autori della sigla di Sandokan (1 posto in HP per 7 settimane nel 1976) , di Orzowei (3 posto raggiunto), di Galaxy Express 999 e svariati altri. Gli Oliver Onions erano gli italianissimi Guido e Maurizio De Angelis, che conobbero il successo anche sotto le mentite spoglie di MG Orchestra (da pronunciarsi rigorosamente con l’accento sulla “o” iniziale, all’inglese), con il brano “Verde”, arrivato anch’esso in classifica nel 1975. Oggi i due sono spesso ospiti in Quelli che il calcio, e commentano le partite della Roma.

Anche Berto Pisano, valoroso musicista d’annata, conosce la testa della Hit Parade verso la primavera del ’74 grazie ad un pezzo strumentale, colonna sonora di uno sceneggiato televisivo, intitolato furbescamente A Blue Shadow. Evidentemente l’ammiccamento all’inglese funziona ancora. Nello stesso periodo Adriano Celentano propone, in una lingua inventata da lui che scimmiotta le sonorità britanniche, il brano “Prisencolinensinenciusol”, evidente ironia sulla moda anglofona imperante. Adriano tornerà sul tema cimentandosi anche con la “nonsense” Yuppi Du. Il peggio comunque dovrà ancora venire, anzi, verrà proprio dopo pochi anni. Le ragazze si chiamano “Jenny” come la bella degli Alunni del Sole o “Lilly” come la ragazza tristemente pianta da Venditti (ma dove sono finite Carmela o Maria?), mentre i gruppi continuano a darsi nomi foresti come i Goblin di Claudio Simonetti o i Santo California, i Romans, i Beans (i…..fagioli??), gruppi che magari di esotico hanno solo il nome, rifacendosi totalmente nella loro produzione alla più tradizionale linea melodica italiana, basta infatti scorrere titoli come “Coniglietto” o ”Caro amore mio”, piuttosto che al rifacimento del vetusto “Come pioveva” per rendersene conto. Anche il papà della futura Giorgia, Giulio Todrani, conosce il successo in questo periodo con il suo duetto canoro dall’esotico nome di “Juli & Julie”.

Superfinti, ma per ridere, un altro gruppo, i partenopei Shampoo. Ripropongono negli anni ’70 vecchi successi dei Beatles in napoletano stretto facendolo abilmente suonare all’inglese come Help (che nella traduzione campana diventa “Pepp”) o “Si ‘e llave tu” alias “She loves you”, ma qui davvero ci si perderebbe nel dedalo del finto inglese dei finti Beatles. Merita la citazione, però, la nascita del gruppo, generato da uno scherzo alla Orson Welles orchestrato in una radio privata. È il 1976. Oltre 150 mila radioascoltatori napoletani credono d'assistere ad una riunione dei Beatles, fatti arrivare dall'allora Presidente del Napoli Corrado Ferlaino, proprietario della radio, per festeggiare l'incontro di calcio Napoli-Liverpool. Figuriamoci, erano invece gli Shampoo che cantavano in napoletano!.

Nella seconda metà degli anni ’70, poi, la situazione si fa ancora più interessante, specialmente con l’affermarsi della disco music. E’ il trionfo del made in Italy spacciato per anglosassone: Peter Jacques Band, (Walking on music) Easy Going (ricordiamo il loro Baby I Love You - Banana Record – 1978), Macho, Change; dal '77 all'80 dietro a questi nomi e sigle si celano i dominatori della scena disco. Diventeranno protagonisti indiscussi delle classifiche europee e Usa. E in effetti la "disco spaghetti" non è stato un fenomeno passeggero, è stato al contrario forse il primo vero tentativo discografico imprenditoriale "made in Italy"; obiettivo: la conquista dei mercati internazionali. Nascono così i successi del periodo: dei La Bionda il famosissimo "One for you one for me", “Bandido” è del 1979 “I wanna be your lover” del 1981 con un videoclip di successo sotto forma di cartone animato. I due fratelli siciliani (Carmelo e Michelangelo La Bionda) lavorano anche sotto un altro pseudonimo, i D.D. Sound. Con questo incideranno "Disco Bass" successo del '77 e sigla dell'edizione della "Domenica sportiva" di quell'anno, “1 2 3 4 gimme some more”, “Cafè”, altri grossi successi. Negli anni in cui Bruno Giacomelli corre in Formula 1 e si fa stampare il nome Jack ‘O Mally sulla sua monoposto, i fratelli La Bionda sono proprietari di uno degli studi più all'avanguardia in Europa. E non basta: la "disco spaghetti" si specializza anche in cover: "I'm a man" dei Traffic diventa un successo nella versione dei Macho di Mauro Malavasi e Marzio,un cantante di balera (1977); ancora "He's speedy like Gonzales" grosso successo dei Passengers, italiani pure loro. Con “Midnight” i Passengers saranno anche a Sanremo nel 1981. Acerimi loro rivali negli stessi anni gli altrettanto italiani Milk and Coffee, coi quali i Passengers venivano spesso confusi, portanono al successo le esotiche “Goodbye S. Francisco” o “Indianapolis”, sempre da finti inglesi, per poi “smascherarsi” a Sanremo 1982 quando interpretarono la romantica “Quando incontri l’amore”.

Piccolo intermezzo con un particolare gustoso: lei davvero non era una finta perché ha cantato in…latino! Chi ricorda Diana Est con Tenax, un pezzo dell’82 scrittole, appunto, in latino da Enrico Ruggeri??

Prosegue negli anni ’80 il successo dei “veramente falsi”, alcuni dei quali esplodono fragorosamente per poi scomparire presto, tipicamente “one shot”, come da allora si è usato dire per indicare un successo eclatante e poi l’oblio, per altri invece il successo è più duraturo, molto spesso accompagnato dalla solita “conversione” alla melodia tradizionale italiana. Alla prima tipologia, quella del successo eclatante ma passeggero appartengono Valerie Dore, i cui brani “The night” del 1984 o “Lancelot” dell’anno successivo scalano vertiginosamente le classifiche europee, ma presto non si sentirà più parlare di lei. Valerie Dore è milanese e si chiama Monica Stucchi. I Via Verdi (Diamond, chi non la ricorda?), pare che il cantante oggi faccia l’orefice; anche loro purosangue della scuderia del demiurgo della dance italiana, alias Claudio Cecchetto che annoverava tra i suoi anche Tracy Spencer, Sandy Marton che bello, biondo e bravo (?) faceva impazzire le ragazze, prima dei Take That. Gazebo (Paul Mazzolini) nasce a Beirut il 18 febbraio del 1960. Artisticamente si può considerare tutto italiano in quanto dall’età di 15 anni vive a Milano, dove comincia a comporre musica e a collaborare in varie produzioni dance nostrane. Il successo per lui arriva nei primissimi anni '80 grazie all'hit "Masterpiece". E' comunque il singolo successivo, "I Like Chopin", che raggiunse il 1° posto nell’estate ’83, a rimanere nella storia dell'intero decennio. Con questo brano vendette otto milioni di copie nel mondo. Poi il nulla.. The Creatures. Stessi anni, dance spaziale. Le loro esibizioni hanno fatto epoca. Lui (il cantante e leader) abbigliato come un novello Luke Skywalker finito per sbaglio nella nostra penisola; l’altro (il tastierista) un inquietante incrocio fra Chewbecca e uno Yeti peloso, suonava rinchiuso in una gabbia. Portarono al successo “Maybe one day” nel 1984, per poi sparire nel nulla.

Baltimora era invece il nome d’arte di Maurizio Bassi, originale Tarzan italiano con occhiali. Tarzan Boy fu uno dei principali hit-tormentone dell’estate 1985. Anche di lui si sono perse le tracce. Il “Re” dei finti (speriamo non si offenda, ma pare che nemmeno la voce fosse la sua, ma del vocalist Silver Pozzoli!!) è Manuel Stefano Carry, in arte Den Harrow, nato a Boston il 4 giugno del 1962, ma che ha vissuto sempre in Italia, quindi italiano pure lui. Grazie alla produzione di Turatti e Chieregato ha ottenuto negli anni '80 un incredibile successo vendendo 13 milioni di dischi con una serie di brani dance cantati in inglese. I primi successi arrivarono verso il 1985. Ricordiamo: "Bad Boy", "Mad Desire", "Charleston", "Future Brain". Nel 1987 arriva per lui la consacrazione del successo con l'album "Day By Day" e i brani "Don't Break My Heart" e "Tell Me Why". L'ultimo album di discreto successo risale al 1989 e si intitola "Lies”. Den Harrow é stato uno dei maggiori idoli delle ragazzine negli anni '80. I Novecento a prima vista potevano sembrare (e così furono etichettati) gli Abba italiani nell’era dello yuppismo, ma il quartetto di "Mamma Mia" se la sognava una voce come quella di Dora Carofiglio, la bella e brava cantante del gruppo, che portò la successo “Movin’ on” nel 1984 fino al 2° posto della hit parade. Qualcuno ne ha notizie? Così come di Fabio Staccotti, che nel 1983 face ballare mezza Italia con una sua hit. Chi è? Ma il Ryan Paris di Dolcevita, naturalmente.

Nel 1989 Daniele Davoli lancia “Ride on time” sotto il nome di Black Box ed è un successo incredibile, anche all'estero. I Double you (Franco Amato e Andrea De Antoni, savonesi, più William Narraine) sfornano nel 1992 un remix destinato a far ballare tutta l'Italia e mezzo mondo: Please don't go (cover del successo dei Kc & Sunshine band) con più di tre milione copie vendute, " Please don't go " hanno guadagnato molti dischi d’oro e platino in paesi come Germania, Francia, Paesibassi, Spagna, Belgio, Svizzera,Austria, Grecia, Turchia, Est-europa, in tutta l'america latina (nessun paese escluso) e molti stati dell' Africa e dell' Asia. Il disco inoltre ha venduto in America del nord (nei primi 10 posti) e nel Regno Unito (no. 2 nelle chart). Nel 1993 protagonisti sono i “made in Italy” Datura con Eternity e Devotion, il Dj Molella con Confusion, gli FPI Project con Come on (and do it), il Dj Stefano Secchi con A brighter day (un rifacimento di un brano di Eros Ramazzotti), e via di seguito con tutte le atre produzioni "commerciali" italiane come Hocus Pocus - Hocus Pocus, Make it right now- Aladino, Crossover - Digital Boy, Barraca destroy - Steam System, Rotterdam '93 - Dr. D.J. Cerla . Anche l’anno successivo la dance "Made in Italy" fa centro. Con The rhythm of the night Corona, italiana d’”adozione” fa il giro del mondo, Altri brani italiani comunque, cavalcano le posizioni più alte della classifica delle vendite, brani come Sweet dreams di La Bouche (2° posizione), e il 4° posto di It's a rainy day, che insieme a Think about the way decretano l'anno fortunato di Ice MC, un duo formato da un rapper ed una cantante. Lei era una certa Alessia Aquilani (proprio lei, Alexia....) Il successo sarà immediato: brani come "Think About The Way" (inserito nella colonna sonora del film di Danny Boyle "Trainspotting") e "It's a Rainy Day" scalano le classifiche di tutto il mondo. Poi Alexia prenderà il largo da sola…. Un altro personaggio dance è destinato a far parlare di sé in tutto il mondo, ed anche questa volta è un Dj: Giorgio Prezioso. La sua Tell me why, sua e di Marvin, altro italiano, diventa il brano più ballato nelle discoteche. Sempre in tema di Dj italiani, l’ottimo Gigi d’Agostino viene soprannominato il "Giuseppe Verdi" degli anni '90, grazie alla sua inesauribile "vena" musicale. Gigi prima sfoggia il suo genio, campionando tre secondi di un brano anni '80 ("What you do it" degli Stretch) reinventando “Bla bla bla” ed un altro innumerevole numero di successi dance: “Elisir”, “Cuba libre”, “More gin lemon”.

Una citazione merita Giuditta Guizzetti, italiana che ha vissuto al seguito del padre diplomatico a Parigi, dove è nata, con la mamma è francese, si è occupata di design e adesso insegna all'Università di Bergamo, dove Giuditta ha finito il liceo (maturità scientifica) ed è tornata per fare la hostess per la compagnia Gandalf. Tra un volo e l’altro, nel 2002 ha sbancato le chart con “Mon petit garcon”, con lo pseuodnimo di Yu Yu, cantando in francese. Speriamo per lei in una smentita dai fatti, ma temiamo un altro “one shot” o meglio “un coup”…..

Ora uno sguardo a quelli il cui successo è stato più duraturo nel tempo: Mike Francis (Francesco Puccioni) nasce a Firenze il 26 aprile 1961. Nel 1984 Realizza il suo primo album, di cui fa parte "Survivor": hit single che arriva fulmineamente ai vertici della maggior parte delle charts europee. Il giovane artista abbina all'attività di solista, di autore ed interprete una serie di collaborazioni con star prestigiose, tra le quali citiamo la grande Amy Stewart,per la quale compone "Friends", brano che si piazza nelle top ten di tutto il mondo . A questo punto Mike Francis si prende una pausa di riflessione, durante la quale, però, si concentra sulla realizzazione di brani in lingua italiana. In questo senso collabora con Mogol e Pasquale Panella , ovvero i due parolieri più prestigiosi presenti in Italia. Escono tra il 1990 ed il 1998 quattro albun dei quali tre completamente in lingua Italiana. Francesco torna tricolore.

Raf, all'anagrafe Raffaele Riefoli, nasce a Margherita di Savoia (Fg) il 29 settembre 1959. Nel 1983 incide con un'etichetta francese il suo primo singolo, “Self Control”, un brano dance che raggiunge il primo posto nelle classifiche di tutto il mondo,Stati Uniti compresi, dove la versione di Laura Branigan arriva al n°1 della Hit Parade di Billboard. Prosegue in inglese nel 1984 interpretando “Change your mind”, poi si “converte” al pop italiano quando, nel 1987 scrive per il trio Morandi-Ruggeri-Tozzi “Si puo' dare di piu'”, la canzone che vince Sanremo. In coppia con Umberto Tozzi scrive ed interpreta “Gente di mare”, un Hit in tutta l'Europa. Poi è una sequenza di successi, “Inevitabile follia”, “Cosa resterà di questi anni ‘80”, “Oggi un Dio non ho”, “Il battito animale”, “Infinito” che lo consacrano tra gli artisti più interessanti della scena odierna, eppure anche lui è stato un “finto”….

Altra creatura di Claudio Cecchetto è Sabrina Salerno, da lui lanciata producendo il primo singolo per la Five Records. Il brano in questione, semplice ed orecchiabile, scalò allegramente le classifiche in Italia e Germania. Non poteva intitolarsi che "Sexy Girl", vista l’avvenenza dell’interprete. Sempre nel 1987 incide il suo primo album, intitolato "Sabrina". Il primo singolo estratto è "Boys", numero uno in Europa, Paesi Scandinavi, Sudamerica ed Australia, tanti sono i Dischi d'Oro e di Platino e le Hit singles successivamente estratte, da “Hot Girl” in Olanda a “Lady Marmalade” in Francia. Del 1988 è "All of me" prodotto dal leggendario trio Stock, Aitken & Waterman, poi segue "My Chico", ed in poche settimane si ritrova ai vertici delle principali Top Ten in Europa; successicamente Sabrina proporrà altri successi come “Gringo” o “Boys” prima che, anche per lei, venga il momento della “conversione italica” nel '91 quando, insieme a Jo Squillo in occasione del Festival di San Remo per la prima volta canta in italiano nel singolo "Siamo Donne". Un’altra “finta” pentita.

Un tempo era solo Spagna (senza Ivana) ed era considerata la reginetta della dance in lingua inglese made in Italy. Ivana Spagna è nata a Borghetto di Valeggio sul Mincio in provincia di Verona, il 16 dicembre 1956. Negli anni ’70 è la corista di Ornella Vanoni, Sergio Endrigo e Paul Young. Lasciato il gruppo nel quale militava a cavallo tra i ‘70 e gli ’80 per proporsi come solista, incide nel 1986 il singolo “Easy Lady” che in poche settimane, e con poche copie stampate, esce in Francia e raggiunge il primo posto della classifica. Da lì scala le classifiche di tutta Europa vendendo quasi 2.000.000 di copie. Intanto la gente scopre che non è inglese, ma italiana, infatti nei primi anni della sua carriera si era fatta chiamare solo Spagna nascondendo il suo nome completo e la sua nazionalità. Nel 1987 con il singolo “Call Me” raggiunge, per la prima volta per un cantante italiano, il primo posto della Classifica Europea davanti a Madonna e Michael Jackson, la sua popolarità è tale che le viene affibbiato il sinistro appellativo di Antimadonna.. Sempre con “Call me” Ivana entra il 25 luglio 1987 nella classifica TOP 75 dei singoli in Inghilterra e ci rimane per 12 settimane, raggiungendo per la prima e unica volta per un cantante italiano la 2° posizione (Zucchero è arrivato massimo al 4°posto). La sua carriera prosegue negli anni con Dance dance dance (1987), I wanna be your wife (1989) I always dream about you (1993) ed altre hit di successo mondiale, tutte in lingua inglese. Nel 1994 esce il singolo Lady Madonna, che ha un buon successo anche all'estero. Poi la svolta. In questo anno la Disney la contatta per cantare la versione italiana di Circle of Life di Elton John, la colonna sonora de "Il Re Leone". Così è nata la canzone “Il cerchio della vita” che finalmente porta Spagna nel mondo della musica italiana e proprio con il singolo conquista il suo primo disco di platino italiano. Nel '95 canta a San Remo “Gente come noi” e si piazza al 3° posto, con ottimo successo di vendite e di pubblico. Dopo San Remo esce il suo primo album in italiano intitolato “Siamo in due”. Da allora in poi Ivana diverrà a tutti gli effetti “italiana”, gettando via anche lei la maschera da “finta”.

Per restare a Sanremo, i trionfatori del Festival 2000, gli Avion Travel, vantano anch’essi un passato da “finti”. Agli esordi erano un gruppo rock e cantavano in inglese, erano la cosa musicalmente più lontana da quel che sono ora. Ma per loro la metamorfosi non è stata violenta e subitanea: sono cambiati piano piano, un pezzo alla volta, prima con i testi in italiano – che poi sono diventati famosi e bellissimi, scritti dal cantante, Peppe Servillo – e poi annusando pian piano la canzone italiana, virando verso la sua sonorità anno dopo anno. Nel 1987, però, erano ancora rockeggianti, ma già raffinati, quando stravinsero Sanremo rock e Lorella Cuccarini per premiarli gli ballava intorno. Poi la svolta, e le sonorità attuali, quelle di Dormi e Sogna e Sentimento.

Avevamo comminciato da Alexia, chiudiamo il cerchio con un gruppo ed un’interprete di enorme successo in Italia e non solo: i primi sono gli Eiffel 65, che continuano la tradizione della disco-spaghetti. Tra il 1999 e il 2000 piazzano un’impressionante serie di hits. Sono in tre. Hanno venduto in un solo anno oltre 14 milioni di copie tra singoli album grazie a quattro canzoni arrivate ai primi posti delle più importanti classifiche mondiali. Il singolo Blue ha venduto 7 milioni di copie nel mondo e l’LP Europop 1 milione solo negli USA! Too much of eaven ha quindi ampiamente replicato questi successi da capogiro. Fortunatamente non si tratta dell'ennesimo fenomeno dance inglese o americano: gli Eiffel 65 sono italianissimi. E ci tengono a ricordarlo in ogni occasione. La loro conversione avviene a Sanremo 2003 con “Quelliche non hanno età”, in cui si rivelano al grande pubblico, anche se erano passati già dal purgatorio di un pezzo estivo collage di citazioni di vari brani del passato, “Cosa resterà”, a cui è seguita un’altra hit balneare, “Viaggia insieme a me”. Oggi sono a tutti gli effetti un gruppo tricolore.

La seconda è Elisa, che rappresenta un caso veramente unico nella storia della musica italiana. Ha scelto di esprimersi in inglese, andando incontro alle critiche di quei puristi che, da sempre, sostengono che gli italiani debbano cantare solo ed esclusivamente nella lingua di Dante. Perché? Una domanda che questa ragazza friulana deve essersi posta prestissimo, visto che è cresciuta imbevuta di rock anglosassone e americano e, appena ha iniziato a scrivere le sue canzoni, le è sembrato più che naturale farlo nella lingua internazionale del rock. Elisa sostiene che le venga naturale pensare musica e scrivere versi in inglese, e c’è da crederle visto che, nonostante i successi sanremesi e ottimi successi ottenuti con testi italiani, continua a proporsi indifferentemente ed in maniera convincente in entrambe le lingue.


CARAMBA...IO SONGO SPAGNOLO


Il verso del “Torero” di Carosone (e dici che sei spagnuolo e nun è ‘o vero…) sembrerebbe profetico, visti i casi di falsi “ispanici” che sono succeduti nel corso degli anni. Cominciamo con Los Marcellos ferial, composti da Tullio Romano, Marcello Minerbi e Carlo Timò, che spagnoleggiano negli anni ’60 con “Cuando calienta el sol” del 1962, grande successo che raggiunge il 1° posto nella hit parade, per poi proporre, sempre in spagnolo, “Cuando brilla la luna” (non andò altrettanto bene, arrivando al massimo fino al 5 posto delle chart), passando poi all’italiano con “Angelita di Anzio” (1964, fino al 3° posto) e “Sei diventata nera” (1964). Una parabola, quella dell’esordio “esotico” poi ritrattato, come si vede abbastanza comune.

Un altro gruppo si presenta nei primi anni ’70 con un’aura ed un nome “spagnoleggianti”, sono i Daniel Sentacruz Ensamble, che conoscono il grande successo con “Soleado,” che sbanca le charts, proseguono, con minore successo, con “Un sospero” e “Aguador”. Non erano spagnoli, erano Ciro Dammico, Mara Cubeddu (poi partner di Battisti in Due Mondi – Anima Latina) e Rossana Barbieri, conosciuta con lo pseudonimo di Linda Lee; in seguito vista forse la preoccupante parabola che si faceva discendente, getteranno anch’essi la maschera mettendosi a cantare in italiano pezzi che avranno buona fortuna come “Bella mia” l’ironica “Allah allah” e, a Sanremo 1978 “1/2 notte”. “Non stop” del 1978, sigla dell’omonima trasmissione televisiva, buon successo di “El Pasador” che successivamente proporrà “Amada mia amore mio”, sempre spacciandosi per iberico ma era l’italianissimo Paolo Zavallone.

Caso clamoroso i Righeira: successo dirompente nel 1983 (7 settimane al n. 1 in HP) con “Vamos a la playa”, prosegue nel 1984 “No tengo dinero” poi, anch’essi, come i precedenti illustri, si spogliano dei panni esotici e si esibiscono in italiano con “Innamoratissimo” prima “L’estate sta finendo” poi, altro grandissimo successo (4 settimane al 1 posto e 9° disco più venduto nell’anno). I Righeira erano (o sono? Pare abbiano ricominciato) i torinesi Stefano Righi e Stefano Rota. De nuevo tu (Ancora tu), di Battisti-Mogol. Betti Villani, milanese con passato da corista di Ramazzotti, assapora il grande successo nel 1988 con questa cover alla rovescia, dall’italiano allo spagnolo. Betti si ripropone l’anno successivo (1989) questa volta da finta inglese con “What have you done” riscuotendo però assai meno successo e scompare dal firmamento musicale.

Simil spagnolo e caricaturale di cantanti rubacuori e tenebrosi alla Iglesias, Armando de Raza (scuderia Arbore) riscuote successo con la scollacciata e ammiccante “Esperanza d’Escobar” nel 1989 e “La lambada strofinera” nel ’90, sull’onda del successo mondiale della Lambada dei Kaoma. “Baila Guapa Loca”, gli Articolo 31 coi loro versi estivi “no me hace falta otra, si te miro salgo del mundo, dona vida y colora mi sueno”, condiscono in spagnolo uno dei loro più grandi successi rap, come di poche estati fa è la hit di Paola e Chiara che, abbandonate le sonorità pseudo irlandesi con le quali avevano tentato di caratterizzarsi, si esibiscono in spagnolo con "Vamos a bailar".

Spagna (arieccola) propone “Mi amor”, come suo singolo per l’estate 2000; Gigi d’Alessio con “Come suena el corazon”, si cimenta in uno spagnolo un po’ improbabile, ma tutto questo è sintomatico per definire quale sia il genere che assicura il successo nell’estate dei Santana, Enrique Iglesias, di Fiesta e di ...Tonino Carotone: il simil-latino, claro!


Maurizio Targa

Fare clic qui per inserire un commento a questo articolo.