1990: Torna l'orchestra ma... che musica, maestro?
di Mario Bonatti


A furor di popolo, a Sanremo si torna a cantare interamente dal vivo, dopo dieci edizioni con basi, inframmezzate da due addirittura in playback. A dire il vero non si canta a Sanremo, bensì ad Arma di Taggia, ricavando un clone dell'Ariston dal Palafiori, immenso casermone solitamente consacrato al commercio della preziosa merce rinomata in Liguria. (L'Ariston è dato in restauro ma ciò non impedirà a Elio e le Storie Tese di fare una sorta di antifestival con parodie dissacranti delle canzoni in gara). Al rilancio della più folgorante tradizione festivaliera, fa riscontro un altro duplice ritorno di fiamma: il ritorno degli abbinamenti, e il ritorno degli stranieri. Gli abbinamenti sono soltanto fuori gara, ovverossia le canzoni in gara dei Campioni sono ricantate a proprio piacimento da artisti internazionali, in una serata dedicata a loro e nella serata finale. Probabilmente la scelta deve essere stata per dare una certa cassa di risonanza interna, perché era davvero illusoria sperare di lanciare o rilanciare Sanremo attraverso queste canzoni, non tutte valide, interpretate spesso da personaggi pagati profumatamente che, escluse alcune eccezioni, non hanno neanche pubblicato il pezzo su disco. Analizzeremo a parte i venti abbinamenti, comparandoli con l'originale.


I BIG
Prima spazio ai "Big" veri e propri, con le solite luci e ombre, un livello più abbassato nella media, quindi minor tendenza sia al capolavoro sia al più bieco trash (sarà diverso per i giovani invece). La tendenza è di chi non vuol rischiare e guarda caso dare spazio anche alla musica che torna a fare la sua parte grazie all'orchestra. I testi mediamente si appiattiscono verso l'immediatezza, e alcuni titoli quasi uguali lo confermano (Amore, Amori, Gli amori, Ma quale amore, Vattene amore...).

Vincono i Pooh, presenti per la prima e ultima volta. "Eravamo affascinati dalla possibilità di suonare dal vivo" diranno. Sarà: opportunità a parte, i quattro non riescono a non vincere, sia per la loro popolarità che da sola è sufficiente, sia per il lirismo del loro pezzo, molto ben confezionato e acustico, quindi più godibile oltre che facile da eseguire (Facchinetti al synt, Battaglia con una chitarra classica in arpeggio, Canzian con un contrabbasso, e D'Orazio con due campane tubulari e un piatto). Uomini soli è un pezzo da non buttare via, magari non originalissimo come idea, ma almeno lontano dalla solita canzone d'amore, anzi in decisa antitesi. Cantando ciascuno una strofa e Roby il chorus, vengono prese delle istantanee su figure di sesso maschile che per un motivo o per un altro non conoscono (e forse mai hanno conosciuto o consceranno) il calore e l'affetto di una donna e in qualche modo ne sentono il bisogno o ne rendono partecipe il mondo simbolizzato da un "dio delle città" nel quale seppure a fatica, preferiscono credere. In fondo una scelta coraggiosa quella di dare voce a una categoria che di solito non ha spazio nelle canzoni. E quindi, sorretta anche da una partitura solida e armoniosa, la vittoria per quanto annunciata ci può stare benissimo.

Il quinto secondo posto di Toto Cutugno (sesto se si include anche Luis Miguel da lui prodotto) è invece frutto stavolta, oltre che del traino di un certo Ray Charles, dell'ottima qualità della canzone scelta: Gli amori è senza dubbio la sua prova più convincente, strutturata in senso tradizionale ma con una ispiratissima melodia unita a un testo non profondo ma originale, persino radicato nella quotidianità. In poche parole è un discorso intorno alla parola amore, che si fa plurale in una babele di sentimenti in mezzo alla quale è difficile stabilire quali siano i più autentici o i più duraturi, ma intanto "li chiamiamo amori" e questo conta. Il secondo posto di Cutugno fuori dalle schedine si spiega dunque così.

E il terzo posto è la rivelazione del quarantesimo Festival. Amedeo Minghi raccoglie finalmente i frutti della sua carriera, e riscatta la bocciatura di sette anni prima e nel contempo lancia nell'olimpo della canzone Mietta. Insieme cantano Vattene amore, con un testo ispirato da Pasquale Panella che in un certo senso continua la tematica di "Canzoni", con cui Mietta vinse le Nuove Proposte un anno prima. È un gioco continuo di attrazione e ripulsa di due innamorati il cui legame è disturbato dal loro lavoro e dai capricci di ciascuno. Una sorta di m'ama-non m'ama giocato sull'ormai mitico "trottolino amoroso e du du da da da", verso che nella canzone è messo come tra virgolette (come dire: il nostro stare insieme è capace di passare dalle liti più furibonde a melense e iperboliche smancerie). Decontestualizzato, lo stesso verso darà a Minghi una connotazione di cantante votato a facili sentimentalismi, che non sempre sarà veridica ma che Minghi non respingerà del tutto, cavalcando così l'onda per alcuni anni e alcuni album. Tornando alla canzone, l'interpretazione all'unisono (dove Mietta canta da sola solo le poche parole volte al maschile e di fatto risulta la voce guida) offre una deliziosa riuscita.

Questa è la classifica iridata: quest'anno si è deciso di mettere al quarto posto tutte le altre canzoni a pari merito, forse per non fare rischiare a certuni le figuracce degli ultimi posti. Diamo lustro ad alcuni graditi ritorni, tra cui quello di Caterina Caselli, che ha il merito anche di aprire la serata inaugurale: la sua Bisognerebbe non pensare che a te è un garbato swing che si lascia ascoltare delicatamente, e comunque già il suo ritorno, che sarà un caso isolato con un solo album, è una testimonianza di attaccamento alla musica e a Sanremo che tanta fortuna ha dato a lei e alle numerose sue scoperte discografiche che contrassegneranno gli anni 90.

E poi Milva fa la sua parte con un pezzo ispirato di Ron che parla di un difficile rapporto a due Sono felice è infatti una frase dovuta al coraggio che trova una donna nel guardare in faccia la realtà, troppo spesso taciuta tra le pieghe della quotidianità. Torna anche Mango con la bella Tu sì, non al livello delle precedenti ma ormai con un timbro inconfondibile, in un anno che rafforzerà la propria popolarità. Ottima anche la performance di Grazia Di Michele che tratta il gap generazionale con Io e mio padre, canzone in un raffinato country apportatrice di una sana tenerezza filiale.

E' anche l'anno di Mia Martini, come sempre premio della critica. Leggermente inferiore all'anno precedente ma senza lesinare emozioni, La nevicata del '56 scritta da Califano è una dolce rimembranza di un bambino (appunto il piccolo Franco) presente in quell'anno a Roma quando fu eccezionalmente ammantata di bianco. Mimì la interpreta da par suo e la fa propria, confermando il suo fascino da signora della canzone.

Tra le interpreti femminili si segnala anche Paola Turci, finalmente assurta a big dopo anni di insistita gavetta. Ringrazio Dio è un pezzo di nobilissima fattura, magari con un testo fumoso imperniato su scontate tematiche esistenziali comunque tese verso soluzioni originali, ma che si fa ascoltare con piacere.

Troviamo dunque una varietà di suoni, e per questo fa la sua figura anche il cabarettista Francesco Salvi che coglie la palla (cioè l'orchestra) al balzo e si produce in un coinvolgente rock'n'roll dove tra l'altro con un titolo piuttosto ardito quale A ironizza sulla monotonia della musica sanremese, riproponendo in altra salsa le tematiche di "Esatto"; la canzone come dice il testo non ha melodia, ha infatti un'unica nota nel tema principale '"e allora! Qui è 40 anni che c'è sempre la stessa musica e non si lamenta mai nessuno". Ironia forse non molto convinta ma sufficiente a fare un pezzo semiserio, impreziosito dalle trovate risalenti alla sua vis comica di cabarettista demenziale, che lo porta a pronunciare la vocale del titolo in differenti maniere, come in una sorta di testo zero, e facendosi accompagnare sul palco da due goffi ballerini vestiti da Frankenstein, come a simboleggiare i fantasmi di quarant'anni di canzoni festivaliere.

Insomma non una perla ma sicuramente una ventata di ritmo, obolo sempre utile per la causa sanremese, al quale contribuisce anche l'inedita coppia napoletana formata da Eugenio Bennato e Tony Esposito. L'uno con la sua esperta profondità d'animo che accompagna una ricerca musicale universale, l'altro con le sue percussioni avveniristiche e i suoi ritmi freschi, insieme danno come risultato Novecento aufwiedersehen, forse la prima canzone italiana a salutare il secolo, cercando di esorcizzare le paure e le brutture che esso ha apportato al genere umano, e indicando una via di ricostruzione sociale che la musica stessa indica nella multirazzialità (ci sono anche citazioni in lingua). Davvero un pezzo da rivalutare, che da solo vale il prezzo del biglietto, fino a sopportare l'inevitabile sequela di pezzi scadenti, i quali, se da una parte si giovano dell'apporto orchestrale e si presentano così fatti apposta per l'occasione, quindi con un maggiore dispiego strumentale, non possono certo mutare la loro mediocre fattura.

Ma da questi riusciamo ancora a salvare Riccardo Fogli, che pur nel filone tradizionale, compie un percorso intelligene e giudizioso come denuncia l'atmosfera rarefatta di Ma quale amore; oppure la sincera solarità della coppia fraterna Macella e Gianni Bella con Verso l'ignoto (gradevole l'impasto delle due voci) e finanche il ritorno di Lena Biolcati, che sceglie una via impervia dello stile pop melodico con Gli amori condito da riflessioni accorate sull'universo femminile che è un po' il marchio di fabbrica di questa autrice forse troppo trascurata al di fuori dei riflettori festivalieri e sotto questi limitata.

E se anche si può tollerare la fuga brasiliana dei Ricchi e Poveri con una ottimistica Buona giornata e la ingessata canzone d'amore di un Sandro Giacobbe che va tuttavia fuori tempo con la sua Io vorrei, non ci sono attenuanti per la ruffianata firmata Peppino Di Capri che canta Evviva Maria a tempo di una smargiassa lambada risuscitando un mondo di lustrini troppo poco verosimile ma anche debole in una eventuale dimensione onirica e nostalgica, né è facile restare indifferenti al tronfio Mino Reitano che intona Vorrei e lascia intendere che forse vorrebbe ma non può, o meglio presenta buone intenzioni di eleganza formale ma non riesce a non risultare datato. E come se non bastasse ci si mette anche i'imperturbabile Christian che è sempre somigliante a sé stesso e non manca di irritare con la sua ennesima dimostrazione di piattume con il più banale dei titoli Amore ("ed è per me soltanto... anche stando lontani siamo vicini" o mamma!).

Tuttavia la prova più sconcertante viene dalla presenza in extremis di Anna Oxa, campionessa in carica, in versione tappabuchi. Donna con te ha una gestazione sofferta: scritta da autori sconosciuti tra cui Danilo Amerio, che parteciperà qualche anno dopo, è stata inizialmente proposta a Patty Pravo, che pochi giorni prima rifiuta di presentarla definendola senza mezzi termini una canzone che fa schifo. Non ha certo tutti i torti: ma non è solo la pochezza di questa melodia e la sciatteria del testo e la furbizia del registro musicale imperniato sulla moda del momento, la lambada (un pezzo decisamente indegno della Nicoletta nazionale!). La melodia infatti assomiglia in modo maiuscolo a un recente pezzo di Sting "Englishman in New York", sicché dopo aver innalzato un vespaio di polemiche tre anni prima con "Pigramente signora" che risultò clamorosamente plagiata, si può capire come non volesse certo incappare in una nuova ridda di critiche. Ed ecco che Anna Oxa, contravvenendo a una regola non scritta che non faceva partecipare chi aveva vinto l'edizione precedente, si presenta con il primo vestito trovato nell'armadio, con l'aria di chi deve solo coprire una base musicale sapendo che non vincerà mai, e tuttavia oltre a mettere questo pezzo nei suoi classici, lancia il suo album dal vivo. Peccato, perché la Oxa aveva iniziato la sua carriera con ben altre credenziali (almeno fino al 1986) e le sue performance a venire non faranno molto per riportarla ai livelli degli esordi.


STRANIERI
NB: Il voto vuole considerare la differenza della cover rispetto all'originale, e se e quanto ne sia migliorata o peggiorata la resa complessiva; pertanto i voti vanno da -5 a +5 passando per lo zero contrassegnato dal segno = .

AMERICA: Last two to dance (Gli ultimi due a ballare) - Io vorrei
Lo storico gruppo country (ospiti con successo nel 1982 con "Survival" che rilanciò il loro album pubblicato due anni prima) si accontenta di questa ballad ma la interpreta con partecipata professionalità e una discreta voce. Il marchio America ha sicuramente prodotto di meglio, ma Giacobbe certo può ritenersi nobilitato. +3

JORGE BEN: Boa jornada (idem) - Buona giornata
I Ricchi e Poveri hanno a lungo corteggiato i Manhattan Transfer per invitarli a cantare il loro pezzo (forse dimenticando che loro erano ancora in quattro). Alla fine gli è andata bene anche con uno dei più grandi musicisti brasiliani, che infatti fa leva sulla componente esotica e in parte fa anche brillare una canzone non eccelsa, pur togliendole la componente corale. +2

DEE DEE BRIDGEWATER: Angel of the night (Angelo della notte) - Uomini soli
In coppia col Genius l'anno precedente come ospiti d'onore, torna e propone una versione molto americanizzata che ai Pooh non può non far piacere. Qualche svolazzo di troppo nell'arrangiamento, parole un po' stereotipate ma in norma con le consuetudini a stelle e strisce, e in definitiva una versione gradevole anche se inferiore all'originale. -1

RAY CHARLES: Good love gone bad (Un buon amore andato a male) - Gli amori
Artefice di un secondo posto sincero di Toto Cutugno, per ammissione dello stesso Toto, Ray Charles strappa minuti e minuti di applausi con la sua performance. Una vera e propria leggenda ambulante. Sarebbe ingeneroso affermare che sia riuscito a rivoltare un pezzo mediocre: ma di sicuro lo nobilita anche solo partendo dal presupposto che non canta mai una canzone che non gli piace (parole sue). Un blues languido, il cui refrain sembra modificato nella melodia (ma gli accordi non mutano) ma per questioni di metrica, con l'aggiunta di un finale da brividi. Una leggenda vivente: +5

NIKKA COSTA: All for the love (Tutto per l'amore) - Vattene amore
La ex bambina prodigio (in Hit Parade nove estati prima con "On my own") torna sulle scene italiane e ha appena diciassette anni. La versione che dà è una sorta di trottolino made in USA che ottiene un effetto quasi uguale, ma malgrado una voce ancora in grande spolvero, le parole panelliane e l'unisono dei due interpreti sono un'altra cosa. Minghi, che presentò Nikka dopo l'esibizione di Charles, disse, ancora sotto choc: "Che dire? Andiamocene a casa". -1

KID CREOLE & THE COCONUTS: Nobody does the lambada like my mother and my father (Nessuno balla la lambada come mia madre e mio padre) - Evviva Maria
Di Capri dice di aver sognato proprio lui, il re della musica caraibica, mentre intonava questa melodia pronunciando il nome di Maria. Eccolo accontentato: cantando sempre per ultimo, la eclettica popstar, accompagnato dalle fide coriste tra cui svetta sua moglie, sembra davvero farci un favore a cantare. Il rovescio della medaglia di alcune affermate star. -3

EDDIE KENDRICKS: Amore (idem) - Amore
L'accostamento tra Christian e la voce storica dei Temptations è piuttosto ardita. Kendricks riesce a portare un po' della magia dei suoni Motowns con una intepretazione da par suo. Le parole fanno addirittura rimpiangere il testo originale di Balducci, ma poco importa. +2

KAOMA: Donna con te (idem) - Donna con te
Il gruppo del momento, interpreti della "Lambada" più celebre, trovano un'altra canzone con lo stesso registro e ci sguazzano. Mediocre l'originale, mediocre la cover, in parte in brasiliano e in parte in un italiano imbarazzante ("li chiudero" senza accento!). Qualche chitarra in più non salva la situazione. -2

LATOYA JACKSON: You and me (Tu ed io) - Verso l'ignoto
Vergognosa performance della ipervalutata sorella di Michael e Janet, che stravolge il pezzo intimista di Bella banalizzandolo senza ritegno nella solita pappetta di frasi sdolcinate. Gianni Bella dirà laconico: "è una sua versione". E non si dica che siamo autarchici. -5

NICOLETTE LARSON: Me and my father (Io e mio padre) - Io e mio padre
La Carlucci (poverina) la introduce sul palco dicendo "anche se non la conoscete fatele un applauso". Tsk! La principessa della West Coast americana mantiene testo e registro della Di Michele, unico cambiamento un sassofono al posto della chitarra arpeggiata nell'inciso strumentale. Grande voce e emozioni country, considerando anche l'argomento generazionale molto diffuso in questo genere. =

VALERIA LYNCH: Quisieras (Vorrei) - Vorrei
Famosissima in Sud America, va a nozze con questo pezzo facile e melodico del Mino nazionale. Una versione spagnola senza pretese e grossi sforzi. =

MIRIAM MAKEBA: Give me a reason (Dammi una ragione) - Bisognerebbe non pensare che a te
La Caselli riesce a dare un contenuto al suo ritorno a Sanremo, invitando la rockstar sudafricana che coglie la palla al balzo e propone un pezzo sull'ancora diffuso apartheid. Splendida prestazione, nonostante qualche dimenticanza nell'esecuzione. +3

MIJARES: La nevada (La nevicata)
- La nevicata del '56
Popstar dell'America Latina offre una versione al maschile e in spagnolo di un pezzo già abbastanza arioso di suo da non abbisognare di un ulteriore impeto. Resa ineccepibile ma da Mimì è un'altra cosa. -2

MONCADA: Novecento aufwiedersehen (idem) - Novecento aufwiedersehen
Formazione cubana molto numerosa e in grado di esibirsi nel suo paese davanti a centinaia di migliaia di persone, i Moncada apportano una ventata di sana musica latina niente affatto oleografica, anzi tendente alla multirazzialità. La versione del pezzo di Bennato e Esposito si fa così più ricca di suoni e suggestioni cromatiche, con un finale coinvolgente. Cantata in spagnolo, con alcune parti del testo originale. +3

GILBERT MONTAGNÉ: Elle avait (Lei aveva) - Amori
In classifica nei primi anni 80, lo chansonnier francese non vedente non va oltre una versione in lingua di un pezzo che resta ancorato alla propria vena intimista-romantica. Grande voce, forse sprecata in questa circostanza. -1

SARAH JANE MORRIS: Speak to me of love (Parlami d'amore) - Ma quale amore
Vera rivelazione questa cantante di scuola jazz che ha il merito di trasformare questo delicato pezzo di Fogli colorandolo di una fumosa atmosfera. Voce straordinaria. +3

LEO SAYER: The moth and the flame (La falena e la fiamma) - Tu sì
Versione anglosassone in perfetto stile easy-listening per il ritorno di una voce che ha avuto il suo momento di gloria negli anni 70. Voce cristallina e gradevole, mantiene intatto il senso di innamoramento che pervade la versione originale. =

SANDIE SHAW: Deep joy (Gioia profonda) - Sono felice
La cantante scalza, già in gara anni fa, torna e non si esime dal togliersi nuovamente le scarpe. La canzone di Milva scritta da Ron si presenta elegante anche cantata in inglese (il testo ricalca l'originale): accostamento tutt'altro che irriverente tra due grandi personaggi. =

TOQUINHO: Nas asas de um violao (Sulle corde di una chitarra) - Ringrazio Dio
Che dire di Toquinho, della sua voce suadente, delle sue corde pizzicate quasi con la sola forza del suo pathos brasiliano? La canzone della Turci trae una nuova linfa da questa versione in portoghese, per una delle meglio riuscite performance tra i 40 artisti stranieri che hanno fatto passerella in queste due edizioni sanremesi. +4

PAPA WINNIE: A (A) - A
La canzone di Salvi da swing diventa raggamuffin. Un finto rap neutrale gradevole da ballare e intriso di certa solarità. Senza infamia e senza lode, almeno Salvi qualcosa lo dice, sebbene in tono demenziale. -3


NUOVE PROPOSTE
Essendo l'attenzione rivolta ai Big e ai loro partner stranieri, le Nuove Proposte di questa quarantesima edizione si fanno notare per la loro eccezionale povertà di idee. Anche qui gioca molto la presenza dell'orchestra, per far leva sulle partiture più ricche dal punto di vista strumentale, ma senza che ci siano delle personalità artistiche in grado di risultare al tempo stesso tagliate per un ritorno dell'orchestra e al tempo stesso innovative come una categoria di giovani elementi dovrebbe suggerire.

Su sedici proposte se ne salvano a essere generosi non più di cinque: scivolano come se niente fosse le proposte di Rosé Crisci Favolando, di Silvia Mezzanotte Sarai grande (che si rifarà quando diventerà la voce dei Matia Bazar), così come il ritono dei Future, vincitori due anni prima, ma che confermano la pochezza del loro progetto con una sciatta Ti dirò (facevano meglio a stare zitti!), per non parlare dei Lijao con Un cielo si muove e gli Elite con una pop ma velleitaria Malinconia d'ottobre, come dire che se questi sono i gruppi emergenti...

A questi si aggiungono altre situazioni a dir poco azzardate fino al trash più totale. Dalle Lipstick, gruppo vocale femminile che cantano Che donne saremo alla coppia Beppe Di Francia e Bea Giannini che compiono l'ennesimo tentativo di clonazione della lambada con Una storia da raccontare, fino a prendere di peso il tema del successo dei Kaoma nell'arrangiamento.

Ma il fondo lo toccano in due: a cominciare dall'attore Armando De Razza (Maurizio all'anagrafe), che si presenta nei panni di un personaggio partorito nelle trasmissioni di Arbore, quello di un goffo damerino latinoamericano che in realtà non batte chiodo o comunque finge bene, e con la complicità di Claudio Mattone, si copre di ridicolo con (ancora?) La lambada strofinera, condita di doppi sensi e riferimenti sessuali decisamente banali quanto il finto spagnolo da lui decantato e che strappano a fatica mezzo sorriso, soprattutto se si ricordano i precedenti discografici dello stesso tra cui "Esperanza d'Escobar", mezzucci che forse vanno bene in tv o se si vogliono rievocare i fasti di "Alto gradimento", ma a Sanremo risultano decisamente fuori posto.

Peggio ancora fanno i Proxima, trio vocale prodotto da Massimiliano Pani, la cui presenza è decisamente spiazzante, nel senso che non si capisce come abbia fatto il bravo e intelligente arrangiatore e produttore (che lavora fianco a fianco di cotanta madre e scoprirà più tardi gli Audio 2) a mettere la firma su una canzone così melensa fino a essere irritante a cominciare dal titolo Oh dolce amor, una beguine languida che puzza di vecchio, al punto che sarebbe stata fischiata anche nel 1951. Da brividi!

Ma non finisce qui: al terzo posto si piazza Gianluca Guidi, figlio di Dorelli nell'occasione conduttore insieme a Gabriella Carlucci, che insiste nel suo stile incartapecorito da night di una stantia dolcevita ma viene tuttavia premiato con questa Secondo te, con tanto di bacio accademico del genitore, nel più bieco trionfo del nepotismo.

Si salvano davvero in pochi: senza infamia e senza lode un certo Maurizio Della Rosa, che altri non è che Maurizio Nazzaro, fratello timido di Gianni che ricorre al solito espediente del cognome materno e presenta una Per curiosità originale nell'arpeggio e nelle intenzioni, ma debole e troppo campata in aria, come di chi ha qualità ma non si applica al meglio.

Da lodare il tentativo di una voce e suono nuovi proposto da Dario Gai (prodotto da Enrico Ruggeri) che solleva un pochino i registri musicali con Noi che non diciamo mai mai.

In questa povertà di idee dunque logico che faccia la sua figura e ottenga il secondo posto l'ormai navigato Franco Fasano che trova una melodia felice e un dispiego oculato delle energie melodiche con una appassionata Vieni a stare qui.

Inoltre non può passare inosservata la performance di Rosalinda (al secolo Celentano che trascura il cognome ma certo non può prendere quello della mamma altrettanto famosa!): la cantatrice calva con L'età dell'oro offre una garbata sintesi tra sonorità esotiche e ricorsi al pop nostrano, con un testo poetico ed evocativo sospeso tra ideale e autocoscienza di sé e del proprio tempo, per un risultato più che soddisfacente che va decisamente fuori dagli schemi di questa edizione sinfonica.

Fuori dagli schemi ci va anche l'unico cantautore presente, regolarmente eliminato al primo turno, il pugliese Sergio Laccone, artista brillante e stravagante, che fonde suoni jazz funky bossanova e altri ingredienti con una intellgenza straordinaria. La sua Sbandamenti è una effervescente trovata che rifà il verso alle canzoni d'amore più appassionate e ne offre una variazione in chiave semiseria e scanzonata con scelte lessicali divertenti e una distribuzione delle parole tesa a rompere i canoni della foma canzone: Laccone la propone battendo il ritmo col piede muovendosi nei meandri dell'orchestra, e conferma la paradossale teoria secondo la quale il nuovo è sempre troppo nuovo per le nuove proposte.

Quindi ci sta tutta la vittoria di Marco Masini, osannato dagli addetti ai lavori prima ancora che dalle giurie, che corona anni e anni di sala di incisione come pianista turnista alla CGD e in modo speciale di Umberto Tozzi. Sotto l'egida di Giancarlo Bigazzi trova un esordio felice (un solo 45 pubblicato due anni prima) con questa Disperato, accorato blues che fa risaltare le sue doti vocali non indifferenti. Il tema affronta velatamente e senza esagerare nei termini il tema della tossicodipendenza fino a includere nello stato mentale del titolo una diffusa way of life di certa gioventù sbandata (non come la intendeva Laccone!) salvo poi ricondurla a una generale carenza affettiva. Ma l'effetto che si ricava è più che lusinghiero per l'orecchio e in fondo la vittoria è più che meritata per un artista completo che si mostrerà coerente con le proprie idee e degno di ottenere un posticino nella schiera dei... santi cantautori, malgrado l'antipatia che attirerà il suo caraterre burbero e soprattutto per colpa della canzone che presenterà l'anno seguente.


GRADUATORIA PERSONALE:
1) Novecento aufwiedersehen
2) Gli amori
3) Io e mio padre
Nuove Proposte
1) Sbandamenti
2) Disperato
3) L'età dell'oro

SHIT SANREMO:
1) Amore
2) Donna con te
3) Vorrei

FRASE DELL'ANNO:
"Gli amori sono quasi tutti uguali / la differenza adesso falla tu"
(da "La lambada strofinera", Toto Cutugno)

PERLE DI SAGGEZZA:
"Ecco che s'alza / s'alza / s'alza / guarda esta pressione como s'alza"
(da "Amore", Armando De Razza)

MARIO BONATTI

Continua...