1983: Lasciateci intrallazzare... siamo discografici veri!
di Mario Bonatti


Continua la ventata del nuovo corso sanremese. Troppo bello per essere vero, tant'e' che questa edizione riuscirà a vanificare parte degli sforzi ottenuti per ridare lustro al Festival. I discografici fanno il brutto e il cattivo tempo per violentare le regole a proprio uso e consumo: ci andranno di mezzo sia il vero consenso popolare sia le canzoni di qualità, che tutto sommato non sono poi così ridotte, anche se su 36 canzoni la perecentuale sembra essersi ridotta rispetto alle due annate precedenti.

La storia di questo festival n.33 comincia dal regolamento, vero e proprio guazzabuglio: infatti una delle motivazioni di questo cambiamento risiedeva nel fatto che, poverini, i giovani, venivano fatti gareggiare con i mostri sacri e non potevano mai mettersi in luce: in fondo anche loro meritano attenzione. Mentre scendevano copiose le lacrime per questa gioventù bruciata, ecco l'idea. Suddividere i partecipanti in due categorie: ma invece di dare un premio a ciascuna delle due (come si farà dall'anno dopo in avanti), si passa a una finalissima composta dai primi tre votati di ciascuna categoria. Così le sei canzoni prescelte concorrono alla vittoria finale, e ci sono così tre big e tre giovani, e uguali possibilità per tutti, come se una giuria non fosse in grado di scegliere una bella canzone a prescindere da chi la canta, e anzi riuscisse a farlo solo quando ne erano rimaste sei!

In questo ridicolo meccanismo, non sarà un caso che a vincere sarà proprio una delle proposte nuove (non ancora Nuove Proposte). Con grave scorno di Toto Cutugno, che già sentiva il profumo della vittoria, malgrado fosse stato superato dai Matia Bazar di appena 25 voti, i Matia Bazar del nuovo corso artistico (e premio della critica) che sono davvero i veri derubati di una vittoria limpida che avrebbe sicuramente impresso una nuova svolta al Festival, o almeno confermato la tendenza instaurata con Alice e Riccardo Fogli. Invece la restaurazione si compie: vince tale Letizia Oliva, in arte Tiziana Rivale, prodotta dai navigati Morra e Fabrizio con un pezzo di un languore sconcertante, vecchio come la fame dei discografici.

Sulle canzoni torneremo dopo: nel frattempo la gara propone anche un concorso popolare che già si annuncia sperimentale per avere la sua attuazione l'anno seguente: il voto popolare, attraverso le schedine Totip, giocando le quali si poteva avere diritto di voto (una canzone per ogni schedina di almeno due colonne e tanti voti quante colonne giocate). I risultati vengono diffusi il giorno dopo durante "Domenica in…" (infatti si giocava al Totip fino alla domenica alle 12, quindi anche a bocce ferme) e decretano la vittoria fuori competizione di Toto Cutugno, seguito da Gianni Morandi, che sono poi i personaggi più popolari tra quelli convenuti al Teatro Ariston. Ma al terzo posto ecco spuntare un altro risultato troppo sorprendente per essere vero: una delle nuove proposte, Giorgia Fiorio, cantante rock, quinta nella sua categoria, arriva terza fra tutti i partecipanti superando la melodia più tradizionale di Cionfoli, Christian, Viola Valentino, che superano anche i Matia Bazar. Gli altri si scambiano in modo del tutto casuale e trascurabile le posizioni ottenute in gara, con alcune poche osservazioni da fare: la vincitrice Rivale è solo ottava, ma dopo aver ottenuto la cassa di risonanza della corona d'alloro, la Milani seconda è sedicesima: undicesima invece Daniela Goggi, eliminata alla prima serata, e votata probabilmente per la sua popolarità televisiva ottenuta anni addietro. Ultimo fra tutti arriva proprio Amedeo Minghi, cornuto e mazziato e con un numero di consensi che suona a dir poco sarcastico: 17017, una "disgrazia" al quadrato. Il bravo cantautore saprà riscattarsi in proporzioni sesquipedali facendo giustizia per tutte le ingiustizie patite dalle canzoni di qualità bocciate in passato e in futuro. Andiamo per ordine.

Vince dunque Sarà quel che sarà, scialba canzone sull'amore duraturo che saccheggia un celebre ritornello di ben altra pasta, cioè quel Que serà serà che cantava Doris Day e guarda caso parlava anche lì di amore coniugale.

Al secondo posto tale Donatella Milani, vestita da motociclista, con un pezzo decisamente troppo ammiccante e men che mediocre firmato da Zucchero. Volevo dirti inaugura la lunga serie di citazioni non autorizzate perpetuate dal sig. Fornaciari: una dance annacquata che lascia dubbi sul talento della spigliata sgarzola, che tre anni prima aveva partecipato alla stesura di "Su di noi" di Pupo, terza classificata.

La votazione finale quindi ribalta parzialmente il risultato della categoria Big: e Dori Ghezzi, terza tra i Big, resta terza nel sestetto. Se non altro Margherita non lo sa è un pezzo di tutto rispetto, con un bellissimo testo che narra di una donna con forti disturbi di personalità che si costruisce un alter ego con cui vincere la propria solitudine. La sempre limpida voce della signora De AndrE' fa la differenza, grazie anche a una vaga citazione del groove di chitarra che rimanda "Johnny and Mary" di Robert Palmer, successo del 1981 che fu presentato anch'esso a Sanremo. Un podio tutto femminile: forse anche le donne si sentivano trascurate?

La quarta posizione anche parla al femminile ed è appannaggio della più bella voce di questa edizione, quella di Antonella Ruggiero che con i suoi rinnovati Matia Bazar propone una incantevole e incantata serenata alla capitale, (Vacanze romane: Roma vista anche come luogo figurato) fotografata con un occhio nostalgico di chi la vorrebbe rinverdita nei fasti della Dolce Vita felliniana, ma sa invece che non sarà più così, come un'età dell'oro destinata all'effimero, il tutto con un impianto elettronico e futuribile che conferisce anche a una melodia di ampio respiro un fascino fuori da ogni schema precostituito. Un capolavoro senza tempo

Toto Cutugno, novello Villa in fatto di polemiche, vede così sfumare la sua seconda vittoria, che inseguirà a lungo finendo sempre secondo, e riuscirà a consolarsi, non solo per la vittoria nel concorso Totip, ma nella consacrazione immediata della sua L'Italiano a suo cavallo di battaglia, canzone un tantino sopravvalutata ma tutto sommato da non disprezzare proprio per la sua sincerità, una ruffianeria spontanea e dichiarata, e una melodia stornellata che risente della sua migliore e non sempre assistita ispirazione. In fondo "lasciatemi cantare con la chitarra in mano" (e versi seguenti) ha fatto epoca, e il Festival deve ben nutrirsi di questi archetipi per consolidare la propria aura di sacralità. Il successo avra' anche portata internazionale: un popolare cantante finlandese ne fara' una versione patriottica pro domo sua. E nel film "Lamerica" di Gianni Amelio la sentiremo cantare da emigranti albanesi.

Chiude la classifica dei finalisti, il sesto posto di Fiordaliso alle prese con una delicata Oramai, che calza a pennello con le sue vocalità gospel e in parte riscatta la cantante piacentina dall'esclusione dell'anno prima e preparerà la via all'exploit dell'anno dopo.

Scorrendo la classifica dei Big, scorriamo una graduatoria analitica per posizione e numero di voti. Un Festival stroboscopico dove si alternano luci e ombre: il primo dei non classificati è Stefano Sani, che fa un grosso passo indietro dopo "Lisa" con Complimenti, altra boutade di Zucchero (che in questa edizione ha firmato cinque pezzi più il proprio). Quale ragazza potrebbe innamorarsi ascoltando questo pezzo?

Solo quinto Morandi, che aveva comunque un pezzo per nulla immediato, scelta artistica coraggiosa che saprà premiarlo non solo mettendo La mia nemica amatissima come uno dei suoi pezzi da novanta (una bella poesia di Mogol su un innovativo tappeto pop) ma anche rilanciando la sua immagine (Immagine italiana si chiamerà il suo disco del 1984) fino a consacrarlo leggenda della canzone nostrana che di questi tempi ancora non era riconosciuta.

Buona la performance (con tanto di coreografia) della Amii Stewart, a parte il difetto di cantare in inglese una canzone Working late tonight che addirittura aveva anche un titolo in italiano "Stanotte penso a te" e quindi avrebbe potuto avere anche un testo in madrelingua.

Il resto è poca roba davvero, con due eccezioni disinte e separate: sciagurata la presenza di Bertin Osborne con (Eterna malattia) clone di Iglesias, e di Barbara Boncompagni (messa tra i Big solo perchE' conduttrice televisiva), che si copre di ridicolo con Notte e giorno pezzo su misura preso da un atelier decisamente kitch. Tra i ritorni se ne segnalano molti in negativo: da frate Cionfoli, che inneggia alla pace universale con Shalom ma non riesce a rinnovarsi e passa inosservato, a Sandro Giacobbe che arrivò terzo nel 1976 ma toppa clamorosamente con questa melensa e lamentosa Primavera, fallendo il bis dell'estate precedente dove aveva furoreggiato con "Sara' la nostalgia", alla seconda volta di Viola Valentino che nasconde le sue evidenti lacune vocali con un samba per giunta annacquato dal nome Arriva arriva che rimesta il luogo comune della musica brasiliana che scaccia la malinconia (come dire Italiani = mandolino), a Christian che sbrodola il sentimentalismo della sua voce nasale e del suo paroliere Mauro Balducci (imbarazzante la sua Abbracciami amore mio, "e se ci scoppia il cuore / un grande amore ci sara'"), ai Passengers con una inutile Movie star (ancora in inglese, peccato perche' si parla con ironia delle raccomandazioni e dei compromessi nel mondo dello spettacolo) e per finire a Pupo (secondo nel 1980) che arriva con qualche mese di ritardo a celebrare la vittoria della Nazionale di Calcio ai Mondiali con questa Cieli azzurri, stinta come una bandiera, come se ci fosse bisogno della sua testimonianza.

Il cantantino toscano, alle prese con l'apogeo del suo successo, ottiene l'ultimo posto nella categoria, soffiandolo per un solo punto al penultimo, che a questo punto lo avrebbe meritato maggiormente per meglio evidenziare il contrasto tra qualità e graduatoria. Trattasi infatti di Vita spericolata di Vasco Rossi, anche quest'anno approdato in un periodo molto caotico della sua vita e un quadro clinico tutt'altro che ottimale, ma che almeno è in grado di scegliere un pezzo sincero, forse ancora inconsapevole che diverra' inno generazionale, di forte impatto sul pubblico più giovane, che saprà eleggere Vasco come suo paladino e bandiera da non più ammainare. Un pezzo rock semplicemente perfetto, acustico in avvio e culminante in un finale blues, cantato in punta di faringe acclamando una provocatoria voglia di rompere ogni schema e abbattere il muro dello status quo e del vuoto di ideali anche a costo del proprio annullamento, una sorta di gioventù bruciata attualizzata e resa fortemente urgente, che si spiega soprattutto con la popolarità tuttora riveste anche fuori dal nutrito zoccolo duro dei fan del rocker modenese, che dà il via alla sua folgorante carriera proprio con questa apparizione svogliata in una manifestazione che certo non gli è mai appartenuta.

Completano il quadro il ritorno di Marco Ferradini, trascurato nel 1978 con "Quando Teresa verrà" e presente con Una catastrofe bionda, pezzo di nobile fattura, sebbene la sua fama sarà sempre più legata a una "Teorema" lanciata due anni prima. Lo stesso Ferradini abbandonera' presto questo delicato confronto tra amanti in crisi per dedicarsi subito alla promozione di un pezzo ("Lupo solitario dj") in cui forse credeva di piu'. Inutile la presenza di Richard Sanderson, famoso per aver cantato il tema dal "Tempo delle mele", e anche lui prodotto da Zucchero: se non altro ha avuto il merito di cantare nella lingua titolare del Festival la sua Stiamo insieme comunque scialba. Positivo invece il ritorno di fiamma di Gianni Nazzaro con una garbata Mi sono innamorato di mia moglie, che risponde ad anni di distanza a una canzone di Catherine Spaak "Mi sono innamorata di mio marito" e che, dopo avere attraversato il pop in tutte le sue sfaccettature lascia una ventata di ritmo con questo swing che narra con tinte sdrammatizzanti di un tradimento giunto nel momento meno impensato di una vita coniugale, come dire "Perdere l'amore quando si fa sera" parafrasando la canzone che poi tenterà di portare a Sanremo vedendosi bocciato e vedendo poi la stessa canzone accettata da Massimo Ranieri (che vincerà nel 1988, ma questa è un'altra storia!).

Tra i giovani finalisti, il primo dei non classificati è Marco Armani, giovane cantautore barese che propone un country pop niente male intitolato " la vita, con un bel testo anche se un po' abbondante di gorgheggi nel finale. Apprezzabile la grinta di una Giorgia Fiorio modello sex-symbol pane-e-salame che propone arditi scenari sessuali con la sua Avrò e la sua caratteristica voce roca (macchiata da una "esse" dentale!), anche se il terzo posto ottenuto con le schedine Totip è troppo strano per non sembrare una trovata pubblicitaria (infatti le vendite non confermeranno questo entusiasmo collettivo!). Purtroppo si trattava di una meteoraÉ

Discreta, coinvolgente e a modo suo originale la canzone che Zucchero si è scelto per lui, infatti finisce ultima. "Nuvola", unita a quella dell'anno precedente, costituisce un inizio incoraggiante per colui che diventerà il primo cantante r&b in Italia, anche grazie a Sanremo. Non sara' un testo freschissimo ma il suono scorre via piacevole.

Tra gli eliminati figurano, come sempre è stato e sempre sarà, esclusioni clamorose. Sfortunato l'esordio di Nino Buonocore con Nuovo amore, il bravo artista napoletano a cavallo tra jazz, ritmi incalzanti e pop d'autore, che saprà rifarsi in seguito; infelice l'esperienza di Sibilla, prodotta da Franco Battiato. Alta 1,90, apportatrice di nuovi codici estetici, chiaramente arabi, propone un pezzo "alla Battiato", molto accattivante che racconta di allegri fumatori di Oppio, con un testo autoironico e didascalico al tempo stesso, funzionale alla melodia che vuole rievocare i suoni del Medio Oriente ma senza farne una cartolina di maniera, a cui Battiato appartiene quasi per diritto di sangue. Purtroppo per la giovane Sibilla andò male anche l'esecuzione: al posto della base fu mandato il play-back, il che la costrinse a perdere ogni punto di riferimento fino a stonare.

Tra le altre proposte, il flop di Daniela Goggi e' una noiosa e cantilenante Dammi tanto amore, e il paragone con Loretta e' schiacciante, considerando anche il goffo tentativo della sorella minore di imitarne la verve interpretativa. Tra le altre canzoni, per cui una eliminazione ci poteva anche stare, ecco una spigliata proposta di tale Patrizia Danzi prodotta da Cecchetto, Fammi volare poche pretese e via andare con quattro salti e una spruzzata di ska; un bel blues di tale Alessio Colombini Scatole cinesi, lanciato mesi prima dagli schermi di "Domenica in"; ecco anche un'intrusione dal Festival di Napoli della "mitica" Gloriana, che ha il merito di provarci senza l'ausilio della sceneggiata; e dulcis in fundo Amedeo Minghi, pienamente incompreso, ma poco importa dal momento che ormai 1950 è tra le canzoni italiane più apprezzate. Ormai epica la storia d'amore in punta di piedi tra un giovane compositore e una avvenente studentessa di nome Serenella che insieme guardano al futuro con ottimismo dopo il tragico dopoguerra, ergendo a simbolo "la canzone che" lui le dice "ho pensato per te", dalla quale aspettarsi un successo internazionale e duraturo come simbolo della rinascita italiana e del trionfo dell'amore. Pregevole il linguaggio e i riferimenti storici e artistici legati a Roma e al periodo in questione. Si dira' che Gianni Morandi abbia dato uno slancio definitivo alla canzone, ricantandola due anni dopo, ma il parere dei critici e la scalata alla popolarita' dello stesso Minghi in questo decennio, fanno pensare che la vendetta verso una giuria distratta era gia' pronta per essere consumata. Con la giusta dietrologia, depone al favore di questo evegreen il fatto di non colpire al primo ascolto. Inoltre, l'unica esecuzione di quella serata, dovendo restringerne la durata, ha tagliato la seconda strofa, reiterando la melodia del ritornello e dandole un effetto di ridondanza che la canzone certo non ha.

Un Festival "tra la guerra e il 2000", sempre prigioniero dei suoi malcostumi che si avvia a una nuova epoca di nefandezze (non solo regolamentari), qualche bella canzone da cogliere qua e là, e piccoli grandi perle da incastonare nel collier delle canzoni di valore.

GRADUATORIA PERSONALE:
1) Vita spericolata
2) Vacanze romane
3) 1950

SHIT SANREMO:
1) Notte e giorno
2) Eterna malattia
3) Abbracciami amore mio

FRASE DELL'ANNO:
"E poi ci troveremo come le star
a bere del whisky al Roxy Bar
o forse non ci incontreremo mai…"
(da "Vita spericolata", Vasco Rossi)

PERLE DI SAGGEZZA:
"PerchE' credo nei brividi a pelle / e m'innamoro di te anche senza le stelle"
(da "Volevo dirti", Donatella Milani)

MARIO BONATTI

Continua...