1985: Loro ragazzi di ieri
di Mario Bonatti


Il Festival conferma il cattivo gusto del playback, e inevitabilmente ripropone nel 1985 il ricorso alle solite alternanze tra proposte accettabili ma messe da parte e trash musicale elevato a baluardo della nostrana melodia. Complessivamente, la qualità riesce a migliorare per quanto riguarda i Big, aumentati di due unità a 22 (con una massiccia presenza di cantautori), mentre cala vistosamente tra le Nuove Proposte, fino a uno scandaloso verdetto.


BIG
Dopo i coniugi Carrisi, tocca ai Ricchi e Poveri abbeverarsi alla fonte della gloria. E non è tutto, perché essendo il Festival abbinato al Totip i primi due si aggiudicano anche un cavallo, dei cui proventi legati alle sue corse possono godere. Ma torniamo alle canzoni. Se ci eravamo indignati l'anno precedente, scoprendo vincitrice Se m'innamoro è più facile restare inebetiti, oppure chiedersi "ma quando inizia la canzone"? La quale non è neanche nelle prime cento del repertorio del terzetto (ex-quartetto) ligure, sciatta, falsamente accattivante, vuota, banale, e inaugura una tendenza che porterà i tre vocalist nel limbo del trash più dilagante, vanificando quanto di buono avevano fatto, anche dopo la dipartita della bionda Marina.

Vittoria ampiamente annunciata e tra le più immeritate della storia; ma occhio al secondo posto, che rappresenta una sorpresa, anzi no. Dietro il cravattino del messicano Luis Miguel si nasconde ancora Toto Cutugno, autore di questa Noi ragazzi di oggi, ed ecco dunque un altro secondo posto per l'autore calabrese, che purtroppo non tradisce il suo stile, ricco di baggianate in rima e di stereotipati proclami. Quanto poi al fatto di affidare la bandiera della gioventù a un damerino vestito come negli anni '50, beh ci vuole un po' di faccia tosta. Luis Miguel era apparso nella vetrina dell'estate precedente a Saint-Vincent, e sparirà di scena dopo questa stessa stagione primaverile, restando popolarissimo in America Latina e facendo parlare di sé anni dopo, per una love story con Mariah Carey!

Ma torniamo al Festival: al terzo posto si fa largo una delle altre favorite alla vittoria, ma la canzone era troppo bella per poter vincere. Sì, la Gigliola Cinquetti torna dopo anni di assenza e la sua Chiamalo amore colpisce per la sua eleganza, la sobrietà della sua melodia (scritta da Dario Farina, alterno autore della Baby Records) e lo sforzo compiuto dal paroliere Armando Cassella (anni fa nel giro Cocciante): una elegia dei sentimenti più autentici supportati da una Cinquetti altrettanto signorile, vagamente dimessa per meglio convivere con la propria fama di decine di successi compreso quello del Sanremo di ventuno anni prima.

La melodia certo la fa da padrona a Sanremo, ma c'è modo e modo. Altro fulgido esempio ci viene dal redivivo Peppino Di Capri che firma un swing in chiave dance e in napoletano intitolato E mo' e mo', legato al suo stile ma degno del suo personaggio che spesso si è prodigato di coniugare la melodia ai suoni moderni e trova qui un onesto tentativo di guardare avanti (non saranno sempre impeccabili le sue scelti nelle successive edizioni).

Tralasciando il solito Christian, che ricicla sé stesso con Notte serena, e si prende un quinto posto quasi senza cantare, ecco che le restanti proposte sono complessivamente accettabili, sebbene non tutte abbiano resitito allo scorrere del tempo. Andando in ordine crescente, dobbiamo segnalare una nuova mezza delusione di Anna Oxa, con A lei, pezzo "cascame" Vecchioni e Paoluzzi, che sembra invece tagliato per farla incedere sul palcoscenico con un vestito a dir poco trasgressivo (attillato e con il pube in rilievo), grazie anche al playback che naturalmente permette ai cantanti di prodursi nelle più svariate performance, come del resto l'anno prima ne avevo tratto giovamento Albano, Patty Pravo, il Grupo Italiano, Fiordaliso, costei quest'anno molto più dimessa che fa un mezzo passo falso con questa ambigua ninna nanna dedicata al figlioletto di cui è già mamma dall'età di sedici anni. Il mio angelo infatti parte con le frasi tipiche di una donna in calore che vorrebbe sedurre chissà quale bel ragazzo, e alla fine lo chiama "figlio mio". Più che complesso di Edipo, sindrome di Giocasta.

"Sei" pieno per alcuni ritorni sulla scena non solo sanremese: Drupi rispolvera il blues con una ariosa Fammi volare; Eduardo De Crescenzo riscopre le atmosfere da night con questa solare Via con me; Garbo si mantiene coerente col suo stile originale, sebbene le sue Cose veloci (ed elettroniche) non possano risparmiargli l'ultimo posto; Marco Armani al suo terzo Sanremo conferma la sua ispirata vena con una grintosa e romantica Tu dimmi un cuore ce l'hai?; fugace ritorno di Franco Simone (in Hit Parade negli anni 70) che propone un delicato ma crespuscolare Ritratto che sa tanto di viale del tramonto, come del resto accade per Dario Baldan Bembo che ha fatto sicuramente meglio di questa Da quando non ci sei, che tuttavia rievoca i fasti di uno dei più sensibili autori del precedente decennio.

Tornano ma dopo ben quattordici anni i New Trolls in formazione rinnovata, ancora supportati dalla bella voce di Giorgio Usai con un Faccia di cane funky elettronico da lodare proprio perché proveniente da una band che ha saputo rinnovare i fasti del pop, e quindi sa quel che fa (si inflazioneranno anche loro su questi schermi!); e infine, ecco il ritorno di Adelmo Fornaciari, ormai diventato semplicemente Zucchero, che si ripropone con i capelli corti e si fa accompagnare da tale Randy Jackson e la sua band giamaicana e dai testi di Mogol (sempre in forma) per un rinnovamento del suo stile, anche se Donne (tuttora uno dei suoi cavalli di battaglia), oltre a preparare la via del successo che lo coglierà di lì a qualche anno, si presenti sfacciatamente ispirata a "No woman no cry" di Bob Marley e, nell'inciso, a un pezzo minore di Battisti del 1980 "Gelosa cara" (solo Venditti sa scopiazzare meglio di lui, del resto!), lasciando proprio alle parole di Rapetti il compito di tratteggiare un quadro verosimile sulle figure femminili figlie dei nostri tempi, emancipate ma anche turbate, volitive ma anche disperate.

Dicevamo dunque dei cantautori, ed ecco che le proposte più lusinghiere vengono da loro. A cominciare da Riccardo Fogli, quarto posto con una coinvolgente e ottimistica Sulla buona strada che ricalca le "storie di tutti i giorni" che tanta fortuna gli avevano dato. Ma più totalmente cantautori sono: Ivan Graziani, che si presenta con Franca ti amo una semplice ma intensa storia di amori proibiti e adolescenziali ambientati in epoche difficili, e rievocati da una mente adulta; Eugenio Finardi, che ha il coraggio di proporre una Vorrei svegliarti atipica per il Festival, ma per questo ricca di pathos nella sua atmosfera eterea e antimelodica; Mimmo Locasciulli, sensibile folksinger, ultimo rapollo del romano Folkstudio, alle prese con un bel testo che augura Buona fortuna e invia verso un domani denso di fiducia in sé stessi; e includiamo anche il Banco di Francesco Di Giacomo: Grande Joe un pezzo esotico che certo impallidisce di fronte alle loro opere rock incise anni addietro ma almeno risente della loro indubbia capacità nel presentare qualcosa che abbia non solo una forma ma anche una sostanza.

La palma dei migliori spetta tuttavia al Premio della Critica e al vincitore morale (sesto con le schedine e primo nelle classifiche). È infatti l'anno del lancio di Eros Ramazzotti, che dopo il suo manifesto programmatico dell'anno prima, deve pur offrire la sua vena più romantica, non fosse altro per dare le nuove coordinate dei sentimenti nel linguaggio giovanile in fieri. Ecco perché dunque Una storia importante vale come brano simbolo di una generazione, costantemente accompagnata dalla paura di amare, dai ripensamenti, dalle aperture e chiusure, dalla voglia di non diventare mai grande e il timore di essere sempre immaturo, fino a conoscere il sapore amaro dei primi rimpianti ("Fermati un istante… come ti vorrei"). Se Eros la canta dalla visuale maschile, è tuttavia facilmente reversibile. Una interpretazione in grande stile, con un arrangiamento cristallino e ricco di pieni e vuoti di sicuro impatto, per una delle più belle canzoni degli anni '80.

Ma uguale risalto va dato ai Matia Bazar, che tornano nel loro stile retrò con questa Souvenir canzone definita dalla stessa voce di Antonella come "di facile presa", ma che sa omaggiare il mito della Parigi art-déco riassumendone i tratti e la nomenclatura salienti rifuggendo l'oleografia fino a fare pendant con la canzone "filo-romana" di due edizioni prima.


NUOVE PROPOSTE
Dopo l'effetto novità, ecco che anche la nuova categoria sanremese si adegua alle solite incongruenze delle giurie demoscopiche che hanno saputo azzoppare cavalli di razza e far correre sfiatati ronzini (tanto per restare in tema Totip!). La votazione di questo secondo Sanremo giovanile rasenta il ludibrio. Le prime tre canzoni distano nei punteggi finali di un punto (neanche fosse il campionato di calcio), ma la quarta ne ha appena undici in meno, e con l'ultima sono meno di cento.

Si direbbe di un'incollatura: ma è già uno scandalo che sia stata ammessa una canzone come Niente di più firmata da Cinzia Corrado, (prodotta dal team che fu di Cionfoli, ma vuoi mettere?) canzone risuscitata come uno zombie dai più corrivi anni '70. Millantando un pop ritmato che descrive una donna sicura di sé ma non si sa a proposito di che, viene premiata una della più brutte canzoni mai cantate in questi anni.

Per un punto non viene premiato Miani, e per fortuna. Questo giovane damerino vestito all'ultimo grido si presenta come nuovo idolo delle teenager, scimmiottando nelle movenze e nei suoni le mode anglofone del momento. Questa Me ne andrò riecheggia pericolosamente un pezzo dei Bronski Beat e altre campionature prese qua e là dai successi delle charts, per tacere del testo che ostenta una giovanilistica sicumera davvero poco credbile. Ma almeno se avesse vinto lui, si sarebbe potuto parlare di un pezzo al passo coi tempi.

Invece il vero scandalo colpisce Lena Biolcati: una volta tanto che andava premiata la melodia. Questa bella ragazza bergamasca dalla voce limpida prodotta da Stefano D'Orazio dei Pooh, propone una dolcissima canzone della premiata ditta Facchinetti-Negrini, che parla dell'amore filtrato dalla bellezza interiore, di come ci si possa innamorare di un uomo nonostante non sia appariscente come certi modelli impongono ("grazie per come sei"). Il quinto Pooh firma per l'occasione una delle sue pagine più belle degne della più selezionata compilation del quartetto con questa Innamoratevi come me, senza cercare ad ogni costo l'approvazione del pubblico adolescente, anzi ridando una certa freschezza alle canzoni d'amore più orientate verso un ascolto maturo. Ma purtroppo Sanremo è Sanremo, ed è solo terzo posto.

E che dire del quarto, di tale Cristiano De André? Bella più che mai meritava molto di più. Il genio ereditario di Cristiano, ormai svincolato dalle pulsioni country del suo gruppo d'esordio Tempi Duri, propone una svolta stilistica a favore di un pop a cinque stelle, sia nel testo filosofico con leggerezza, sia nell'impianto musicale, crocevia di più generi dove svetta il suo violino, nelle sue sembianze più conturbanti, con il risultato di un pezzo di indubbia qualità.

Dopo di lui, il vuoto: le altre quattro finaliste hanno davvero un che di pleonastico, tutti emuli di qualcosa di già esistente, da Marco Rancati (che almeno ha un discreto pezzo di Dalla ma sotto il vestito niente) a Stefano Borgia (mieloso fino al parossismo nel suo parlare d'amicizia virile), a Lanfranco Carnacina, fino a una certa Antonella Ruggiero che è soltanto omonima della vocalist dei Matia Bazar.

Sicuramente altri quattro degni sostituti si sarebbero trovati tra gli esclusi: a cominciare da Mango (proprio lui) che nonostante le lusinghiere promozioni raccolte attraverso la Fonit Cetra (etichetta Rai) con la sua "Oro", viene messo alla porta con una coinvolgente Il viaggio, che risente della sua bravura nel trovare suoni che sappiano unire qualità e godibilità. Il cantautore lucano, attraverso la stima degli addetti al lavoro e la bontà delle sue produzioni, si guadagnerà lo stesso la coccarda di Big nell'anno successivo, a conferma che le giurie non sono tutto; tuttavia peseranno come macigni le eliminazioni degli altri cantanti.

Laura Landi, voce delicata prodotta da Minghi, non viene capita con questa delicata Firenze piccoli particolari; buco nell'acqua anche per Roberto Kunstler, pupillo di Locasciulli, incompreso con un country acqua e sapone in tono sdrammatizzante Saranno i giovani, forse non irresistibile ma almeno onesto (per lui ci saranno soltanto apprezzamenti dalla critica negli anni a seguire quando inciderà insieme a un altro autore underground di nome Cammarriere). Il resto è davvero poco: ci riprova Rodolfo Banchelli, e dopo aver saccheggiato Zero proponendo "Madame", si ispira sfacciatamente alla "Purple rain" di Prince con questa Bella gioventù (Luis Miguel quindi non era solo!). Incosistenti Claudio Patti (troppo serioso), Antonio Valentini (troppo disimpegnato), Silvia Conti (voce sguaiata), mentre fallisce per eccesso di foga il progetto Champagne Molotov, gruppo di Enrico Ruggeri e capitanato dal bravo chitarrista Luigi Schiavone, con una proposta troppo sopra le righe e carica di "piste elettriche" (come dice il testo di Volti nella noia) per non risultare almeno spiazzante. Nuova gioventù cercasi.


GRADUATORIA PERSONALE:
1) Una storia importante
2) Chiamalo amore
3) Faccia di cane
Nuove Proposte
1) Bella più di me
2) Innamoratevi come me
3) Il viaggio

SHIT SANREMO:
1) Se m'innamoro
2) Notte serena
3) A lei
Nuove Proposte
1) Niente di più
2) Me ne andrò
3) Bella gioventù

FRASE DELL'ANNO:
"Apro le mie mani per riceverti (ma un pensiero mi porta via)
mentre tu le chiudi per difenderti (la paura è anche un po' la mia)
forse noi dobbiamo ancora crescere (forse è un alibi, una follia)"
(da "Una storia importante", Eros Ramazzotti)

PERLE DI SAGGEZZA:
"Devi venire con noi
Siamo i ragazzi di oggi noi
i veri amici che tu non hai
e tutti insieme si può cantare"
(da "Noi ragazzi di oggi", Luis Miguel)

MARIO BONATTI

Continua...