Settimana 11 Marzo 1978
( da Musica & Dischi [45] e Ciao 2001 [LP] )

1. Gianna - Rino Gaetano (It)
2. Un'emozione da poco - Anna Oxa (RCA)
3. Figli delle stelle - Alan Sorrenti (EMI)
4. Singing in the rain - Sheila B. Devotion (Fonit Cetra)
5. Pensiero stupendo - Patty Pravo (RCA)
6. Queen of Chinatown - Amanda Lear (Polydor)
7. La vie en rose - Grace Jones (Ricordi)
8. E dirsi ciao - Matia Bazar (Ariston)
9. La pulce d'acqua - Angelo Branduardi (Polydor)
10. A mano a mano - Riccardo Cocciante (RCA)
11. Furia soldato - Mal (Ricordi)
12. Il buio e tu - Ciro Sebastianelli (CGD)
13. The devil is loose - Asha Puthli (CBS)
14. The house of the rising sun - Santa Esmeralda (Philips)
15. Lady America - Voyage (Atlas)
16. Stayin' alive - Bee Gees (RSO)
17. 1.2.3.4. gimme some more - D.D. Sound (Baby)
18. Respiro - Franco Simone (RiFi)
19. Domani domani - Laura Luca (Ricordi)
20. 1/2 notte - Daniel Sentacruz Ensemble (EMI)
21. Solo tu - Matia Bazar (Ariston)
22. Mister mandarino - Matia Bazar (Ariston)
23. Happy days - Pratt & McClain (WEA)
24. Moonflower - Santana (CBS)
25. Storia o leggenda - Orme (Philips)

=================== 33 giri ===================

1. La pulce d’acqua – Angelo Branduardi
2. Burattino senza fili – Edoardo Bennato
3. Figli della stelle – Alan Sorrenti
4. Riccardo Cocciante – Riccardo Cocciante
5. L’oro dei Matia Bazar – Matia Bazar
6. Santa Esmeralda II – Santa Esmeralda
7. Once upon a time – Donna Summer
8. 1,2,3,4, gimme some more – D.D. Sound
9. Love me baby – Sheila & B.Devotion
10. Dynamite – Esecutori Vari

Dopo un febbraio drammatico, punteggiato da omicidi di magistrati, di poliziotti, di ragazzi impegnati politicamente e da devastazioni nelle città ad opera di giovani appartenenti a differenti realtà politiche, parlare di argomenti apparentemente futili ci fa apparire come coloro che preferiscono chiudere gli occhi sulla realtà. Ma questo è il nostro compito. Il 1978 non fa presagire nulla di buono ma sembra possa far tornare i partecipanti al Festival di Sanremo in vetta alle classifiche, dopo circa 6 anni (a parte qualche eccezione). E lo fa alla grande, dal momento che le prime due posizioni della classifica a 45 giri vengono raggiunte da Anna Oxa e da Rino Gaetano. Questo nuovo boom di Sanremo ha lasciato spiazzate le casa discografiche che ormai da qualche anno avevano rinunciato ad un disco compilation in cui erano solite raccogliere le canzoni del Festival. Anche Sorrisi & Canzoni, che fino all’edizione del 1975 aveva riservato la copertina alla canzone vincitrice, aveva preferito dedicarla ad Alberto Lupo convalescente dopo l’edema cerebrale che lo aveva colpito nel novembre 1977.

Ad organizzarlo è Vittorio Salvetti che lo lancia come il "Festival in jeans", pieno di cantanti nuovi (o riciclati). In tv ha però avuto più ascolto il Festival con gli artisti stranieri ospiti, come Sheila, Grace Jones, Asha Puthli, Belle Epoque etc, veri trionfatori delle classifiche discografiche del periodo precedente al Festival. Naturalmente non mancano gli ospiti italiani. Patty Pravo si presenta in tenuta scheletrica, un'"anoressica al festival". Così potrebbero titolare i giornali. Dimagrita di quel poco di carne che le consentiva l’assorbimento dei liquidi, la Strambelli sembra davvero un fantasma. Si presenta col suo cane e alla domanda di un cronista che incuriosito dall’animale le chiede se preferisce parlare del festival o del cane lei risponde "fa niente, tanto è lo stesso". C’è anche Cocciante, con un bell’ascesso al molare tanto che lui si fa inquadrare dalle telecamere solo dal lato sgonfio, Fred Buongusto, Julio Iglesias e la Bertè. Alla selezione sanremese ha preso parte perfino Giaime Pintor, dirigente del PCI (ingerenza politica incredibile fatta passare come garanzia di qualità) che solitamente passava il suo tempo sputando su tutto il mondo della musica.

Eppure non era partito molto bene questo Festival. Salvetti aveva detto che era disposto a dimettersi da organizzatore dal momento che le organizzazioni sindacali gli avevano impedito di lavorare perché, con la selezione effettuata non erano emersi cantanti di rilievo. Tutto questo fino a gennaio. Poi, con l'introduzione di una formula che fa andare tutti in finale, riesce ad attirare anche personaggi che forse avrebbero rifiutato di partecipare. Funziona anche in tv che continua a penalizzarlo con due sole trasmissioni di cui una, quella del venerdì, in differita, essendo stata registrata il giovedì. Poca attenzione quindi, ripagata però con quasi 21 milioni di ascoltatori. Un vero boom per Sanremo degli anni settanta.

Ma parliamo dei due cantanti arrivati al secondo e terzo posto nel Festival, e che sono al vertice della Hit Parade in questo momento: la Oxa e Rino Gaetano. Entrambi sono legati alla RCA. Ad ANNA OXA sono bastati tre minuti per conquistare il pubblico televisivo. Tre minuti e UN'EMOZIONE DA POCO diventa subito una grande emozione. Lei si presenta al Festival in tenuta punk: abbigliamento maschile, labbra color viola scuro, eye liner pesante, frangetta a punta, atteggiamento aggressivo e una valigetta misteriosa. In realtà quel personaggio presente sul palco ha poco a che fare con la vera Anna Oxa ma serviva un espediente per colpire al primo impatto e il suo amico Ivan Cattaneo, cantautore costantemente al suo fianco nei giorni sanremesi, l’aveva consigliata di porgersi in quel modo. Dirà poi Ivan il terribile: "ma quale punk! Anna è una parastatale!" L’effetto shock non si fece attendere e, vuoi per la bella canzone scritta da Ivano Fossati, vuoi per il personaggio costruito ad arte, Anna Oxa vivrà un 1978 sempre al vertice. Lei è una diciassettenne nata a Bari, ultima di otto fratelli. Il padre albanese (sembra sia il nipote del presidente dell’Albania, il famigerato e crudele Oxha), la madre pugliese. Anna ha iniziato da bambina, a 13 anni già faceva pianobar e le sue canzoni preferite erano quelle soul di Stevie Wonder o Diana Ross. Scimmiottando Patty Pravo davanti allo specchio di casa (e nel tempo ne copierà forse inconsciamente modi e atteggiamenti) cresce con la consapevolezza di voler diventare una cantante. Nel 1976 incide il suo primo singolo per una casa discografica di Bari, un brano del passato adatto per le balere di liscio, FIORELLIN DEL PRATO, e proprio nelle balere pugliesi Anna si fa le ossa sino a quando non si fa notare da un talent scout che la invita a Roma per un provino al Cenacolo, dove sono soliti registrare i big della RCA e non solo. Ed è lì che incontra Fossati nel 1977. Al provino canta NIGHT AND DAY e convince i discografici.

RINO GAETANO ha un passato musicale molto più importante. Nato a Crotone nel 1950, battezzato Salvatore Antonio, è nato artisticamente a Roma. Nel 1970 comincia a bazzicare il Folk Studio, all’epoca dei vari Venditti e De Gregori, ma da quella scuola non attinge la protesta e le rivendicazioni sociali tipiche dell’epoca rinunciando a mettere in musica tutto l’armamentario classico che fa tanto cantautore alternativo. Personaggio che egli sbeffeggia anche in un suo successo estivo di questo stesso 1978, NUNTEREGGAE PIÙ. La sua protesta (se così vogliamo chiamarla) la trasferisce nella satira, con lo sberleffo, l’intelligenza, il non sense dei suoi testi, che sotto una prima veste surreale celano un significato molto preciso. Una sorta di Petrolini traslata negli anni Settanta. I Battisti e i Baglioni sono rimasti in vetta senza che nessuno sia riuscito a soppiantarli o ad imitarli senza fare una pessima figura. Si sentiva il bisogno di qualcosa che si muovesse dal solito cliché politico o romantico. C’è stato Branduardi che con la sua musica d’altri tempi ha dato una bella scossa al panorama cantautoriale italiano e c’è Bennato (tuttora in classifica) con le sue prose tra la metafora e la favola. Ora c’è anche Rino Gaetano con un tipo di musica gradevole, intelligente e a suo modo provocatoria. A dire il vero Rino non nasce a Sanremo ma nel 1973, quando Sergio Bardotti e Vincenzo Micocci (proprietario della IT, consorella della RCA) lo notano e gli fanno incidere il primo disco sotto lo pseudonimo di KAMMAMURÌS. La canzone si intitola I LOVE YOU MARIANNA, un inno alla marijuana. Ma tanta spregiudicatezza non basta a premiarlo e allora Rino rivede un po’ le sue carte. Nel 1974 incide INGRESSO LIBERO che non riscuote successo. Una canzone dell’album viene incisa da Nicola Di Bari che ne fa un singolo (AD ESEMPIO A ME PIACE IL SUD). Il successo arriva nel 1975 con MA IL CIELO È SEMPRE PIÙ BLU, in cui indica tutte le contraddizioni dell’odierna società, facendolo sempre col sorriso sulle labbra. Nel 1976 è la volta di MIO FRATELLO È FIGLIO UNICO, dalla quale trae BERTA FILAVA che diviene subito nota anche grazie al costante tam tam delle radio private. Il successo è superiore alle aspettative, tanto che la IT sforna subito un secondo singolo tratto dallo stesso album e inserisce nuovamente BERTA FILAVA come lato B. Il 1977 vede la nascita di AIDA (omaggio all’Italia) e Rino fa di nuovo centro. Certamente non è un cantautore per tutti i palati. Ha il suo pubblico ed è apprezzatissimo anche da chi non ne fa il suo cantante preferito. Sempre sorridente, spiritoso e gentile. Chi scrive ha avuto la possibilità di conoscerlo e frequentarlo da piccolo, per cinque giorni a Napoli, durante le prove di Auditorio A, la trasmissione televisiva che prese il posto di Senza Rete nel 1977. A Roma, qualche mese dopo, poco prima di Sanremo, Rino accolse il suo fan di nove anni come se fosse uno dei suoi più grandi amici di sempre, cosa che non aveva mai fatto nessun cantante prima di allora, sebbene il bambino in questione li conoscesse tutti. E di tutti s’era fatto un idea precisa. Rino Gaetano gli regalò una primizia, GIANNA, il quarantacinque giri che avrebbe portato a Sanremo da lì ad una settimana, dicendogli: "mi raccomando, non lo dare a nessuno prima di Sanremo". Una specie di consegna che il bambino prese alla lettera.
GIANNA, una canzone surreale che arriva di botto al primo posto in classifica. Comunque è significativo notare che Rino giungeva al successo totale cantando una canzone surreale e non quando trattava di argomenti della dura quotidianità come i problemi del mezzogiorno, del rapporto padre-figlio, dell’emarginazione. Quasi a voler ribadire che una larga parte del pubblico vuole il divertimento da un cantante e non sentirsi sbattere in faccia i problemi della reltà. GIANNA, che sostiene tesi e illusioni, che promette pareti e fiumi, che ha un fiuto eccezionale per il tartufo e che aveva un coccodrillo ed un dottore, fa breccia in men che si dica grazie col suo testo demenziale e con la musica davvero trascinante. Qualcosa avrà influito anche su quel manipolo di pazzi saliti sul palco a fare coreografia dietro a Gaetano che con una bombetta in testa e una chitarra minuscola cantava la sua canzone. E gli applausi del pubblico erano tutti per lui, facendo presagire un successo davvero grande. Pensate, quel bambino che aveva avuto l’occasione di sentire GIANNA prima di tutti gli altri come era contento!

Passiamo ora ai veri vincitori del Festival, I MATIA BAZAR, che hanno addirittura tre canzoni tra le prime 25. Una è SOLO TU, ex numero uno della classifica italiana (e hit anche in Spagna e Francia), la seconda è la sigla di DOMENICA IN, dal titolo MISTER MANDARINO e la terza è la canzone vincitrice del ventottesimo Festival di Sanremo, E DIRSI CIAO. L’Ariston, la loro casa discografica milanese, era contraria a mandarli al Festival, nonostante le insistenze di Salvetti. Dopo un successo di così grandi proporzioni come quello incontrato dalla canzone SOLO TU, che continua a funzionare e vende benissimo, andare a buttarsi nella mischia in un festival in ribasso non sembrava cosa intelligente, soprattutto con una canzone così differente, per ritmica, dalle loro solite. In più dopo che la voce solista non era quella solita di Antonella ma quela di Piero Cassano. Ad Antonella erano riservati i vocalizzi e il controcanto. Ma la voglia di rischio li premia e arrivano primi a soli 4 punti dall’esordiente Anna Oxa. Loro, i Matia, non assomigliano a nessun altro complesso. Fanno storia a se, non hanno mai cercato di imitare nessuno e il loro repertorio è di grandissimo livello. E DIRSI CIAO non è certo una canzone facile, ai più può sembrare monotona con quell’incedere di ritmo-bolero che mano a mano sale di tono e di ritmo, aiutato dalla grande voce di Antonella che sottolinea i passaggi musicali del brano inerpicandosi verso note difficilissime da prendere, da grande professionista. D’altronde non si aspettavano certo di vincere. Presentare una bella canzone, difficile all’ascolto e farla conoscere al grande pubblico era solo quello che chiedevano. Le giurie li hanno smentiti, forse anche condizionate dal fatto che arrivavano da quel clamoroso SOLO TU e quindi erano il complesso del momento.

Tra i partecipanti, 14 in tutto, si fa notare SANTINO ROCCHETTI, ormai un veterano del Festival avendoci partecipato nel 1976 e 1977. La sua storia risale agli anni sessanta, quando con i Rokketti (in un momento di megalomania "applicata" aveva chiamato il complesso col proprio nome) divenne uno degli artefici del beat italiano. Nel 1966 il complesso era entrato a far parte delle band che orbitavano nel giro di Crocetta e che si esibivano al Piper di Roma. Quindi significava avere visibilità assicurata sui giornali dedicati al pubblico giovane e nelle manifestazioni on the road. Sempre accolti favorevolmente sebbene il successo dei gruppi come l’Equipe 84 e i Rokes lo vedessero ancora col binocolo. Poi venne l’esperienza di Santino con I Gatti Rossi, all’inizio degli anni Settanta, gruppo nato nel 1968 e prodotto da Gino Paoli per la Durium, poi riciclato in band semi-progressiva nel 1972. Dal 1970 al 1975 lui diventa prima voce di Music Hall, il coro che accompagnava l’esibizione dei cantanti dei Festival di Sanremo in ausilio al coro della Orlandi. La prima esperienza solista è datata 1975 quando porta al Disco Per L’Estate PELLE DI SOLE ottenendo un buon successo di vendita. Santino Rocchetti sebbene non sia stato beneficiato da madre natura in avvenenza fisica lo è stato senza dubbio in potenza di voce. Molto duttile, passa dal genere più duro alle melodie arrangiate a metà tra Wagner e i Pink Floyd come questa ARMONIA E POESIA, piena di violini e di chitarre elettriche.

La SCHOLA CANTORUM è un supergruppo, sia come numero di componenti sia come bravura. Formatosi nel 1974, viene scoperto da Marco Luberti, paroliere di Cocciante fino al 1980. E nella Schola Cantorum c’è posto anche per Annie Robert, da Saigon, cugina di Cocciante col quale hanno un forte rapporto di collaborazione. Poi c’è Aldo Donati, vera forza del gruppo, grande voce e bravo musicista, Alberto Cheli e Marina Arcangeli (entrambi avranno esperienza solistiche), Enrico Fusco (anche autore del pezzo presentato a Sanremo dal titolo IL MIO AMORE), Luisella Mantovani e Mimi Gates di Philadelphia, la nota di colore del complesso. Amano definirsi cooperativa musicale e il loro scopo è quello di fare buona musica anche a discapito della facile commerciabilità.

Cosa nella quale invece eccellono i DANIEL SENTACRUZ ENSEMBLE, abbonati al successo. Quando decidono di andare al Festival hanno un singolo che funziona benissimo, nelle classifiche e in discoteca, dal titolo BELLA MIA. Sono al loro secondo Festival (il primo è del 1976) e presentano MEZZANOTTE. Ma la loro attività discografica continua sebbene abbiano appena inciso il singolo sanremese. Sono in tv con la sigla animata (che ne riprende le fattezze) di UFFA, DOMANI È LUNEDÌ, di cui sono gli interpreti, un pezzo molto ritmato.

LAURA LUCA presenta al Festival una delicata canzone, cantata con un filo di voce accompagnandosi con la chitarra. Una specie di Cinquetti 14 anni dopo, versione ’78. DOMANI DOMANI. La storia di una ragazza che decide di lasciare il suo ragazzo e lo fa dedicandogli una canzone, spiegandone i motivi. La sua voce è modulata su toni bassi, da cantautrice, ma la canzone le è stata scritta da Gian Pieretti e da Nicorelli, che è anche il suo produttore. Ricorda molto da vicino Grazia Di Michele che proprio nello stesso periodo, per la IT incide il suo primo album dal titolo CLICHÈ, una galleria di personaggi femminili alle prese con la vita di tutti i giorni.

La femminista per antonomasia degli anni settanta, Gianna Nannini, esce col nuovo album dal titolo UNA RADURA inciso per la Ricordi. Se fa concessioni sul piano dell’orecchiabilità non ne fa certo su quello dei concetti, duri ed aspri, da perfetta militante. Un altro disco femminile è quello di Alice, COSA RESTA... UN FIORE, ancora affidato a Lucariello, che nel 1975 la fece rinascere col nome di Alice Visconti dopo un passato come Carla Bissi. Dieci brani, quattro dei quali già apparsi su singolo (la bellissima UN ISOLA), compreso il nuovo ...E RESPIRO. Tutti i brani sono firmati dai musicisti che l’hanno guidata in questi ultimi tre anni e cioè Lopez, Brioschi (il Renato dei Profeti), Carla Vistarini e Riccardo Fogli. Da noi Maurizio Arcieri, ex New Dada ed ex solista col semplice nome di Maurizio, insieme a sua moglie Cristina forma i Chrisma e diventano la coppia punk più famosa d’Italia. Lei vestita con pantaloni di pelle e cravatta nera, lui con maglietta nera, jeans neri attillati e camperos ai piedi, ma non da "compagno", bensì di pelle. Perché all’epoca chi portava i camperos era di sinistra, chi portava i Frey (quelli con la punta quadrata) era di destra. Per chi non sa di cosa si sta parlando, sono stivali. I Chrisma, già abbastanza noti e attivi da circa un anno e mezzo decidono di buttarsi definitivamente sul punk e incidono CHINESE RESTAURANT. Suoni elettronici, oppressivi, voce trattata da sintetizzatore, moog confusioniero. È un punk differente da quello che fanno in Inghilterra, molto più ricercato e snob. Il pezzo più noto è LOLA, un brano particolarissimo, con la batteria suonata da Gianni Dall’Aglio e i violini elettronici in sottofondo. Un brano dalle atmosfere retrò anche perché tutto il disco è ambientato nella Cina del 1926.

Un gruppo italiano, gli Aedi che fa parte della stessa casa discografica dei Chrisma, la Polydor, realizza un 45 giri dal titolo FRATELLI D’ITALIA ispirandosi ai Sex Pistols e alla loro GOD SAVE THE QUEEN, l’irriverente versione dell’inno inglese fatto da Sid Vicious, ma l’operazione commerciale è così evidente che non ha successo. Nonostante questo, oggi il disco degli Aedi è molto ricercato alle mostre del vinile come fotografia di un epoca.

Dopo la Germania sembra proprio che la patria in seconda della discomusic sia la Francia. Adriano Celentano e la sua versione riveduta e corretta del celebre brano del 1963 di Ben E. King, DON’T PLAY THAT SONG (cantato anche da Di Capri con lo stesso testo inglese sempre nel 1963) ha raggiunto le 150 mila copie vendute negli album (DISCO DANCE) e oltre mezzo milione di singoli. Artisti francesi o comunque prodotti in Francia sono piazzati ai vertici delle classifiche internazionali e la tendenza sembra aumentare. Da breve tempo è nato anche un mensile specializzato esclusivamente in musica per discoteche.

GRACE JONES

Anche artisti di altri paesi, se appartengono al genere "disco", sembra debbano avere il battesimo ufficiale in Francia. È il caso di GRACE JONES, un successo strepitoso. La sua versione "disco" del brano della Piaf del 1946, LA VIE EN ROSE è nei Top Ten di ben diciotto paesi. La canzone era già molto nota (specie nelle discoteche) prima della sua apparizione al Festival di Sanremo ma la sua presenza sul palco dell’Ariston ha vinto le riserve di chi ancora non era riuscito a conoscerla o ad apprezzarla pienamente. Naturalmente la versione del famoso brano d’oltralpe ha ben poco a vedere con l’originale. Sensualissimo, un richiamo all’erotismo molto forte. Gestualità e voce sono un accrescitivo dell’eros che l’arrangiamento della canzone evoca. Nata in Giamaica, cresciuta a New York, la Jones è dotata di un corpo scultoreo e di un sex appeal molto forte, tipicamente nero nell’accezione più primitiva del termine. Una pantera nera, così come la chiamano (o LA LINGUA, quando gioca a fare la provocatrice sessuale). Diviene fotomodella e cover girl, lavorando con Andy Warhol e con Oliviero Toscani prima di incontrare Chris Blackwell, discografico della Island che le fa firmare un contratto. Ed è lo stesso Warhol che si occupa della produzione del suo primo disco, oltre che della promozione. THAT’S THE TROUBLE è la prima canzone a scalare le classifiche, seguita da I NEED A MAN. Poi il booom de LA VIE EN ROSE. Difficilmente un nuovo nome riesce a far breccia al primo colpo con un motivo inedito, specie se è un prodotto per così dire confezionato. "È tempo di far uscire un LP", hanno detto i dirigenti della sua casa discografica, cosa che Grace aveva sempre voluto rimandare perché impegnata in tanti altri progetti e la carriera di cantante a tempo pieno non era certo in cima ai suoi pensieri. Ma dato il successo mondiale del disco mix e del singolo, la Jones non si può tirare di certo indietro. Ed ecco uscire PORTFOLIO, la cui copertina è disegnata da Richard Bernstein, collaboratore di Warhol. Pescando nella musica europea e in quella giamaicana e aggiungendovi alcuni brani inediti, Grace e il suo entourage fanno un lavoro eccellente e di prima qualità. Sempre di discomusic si tratta ma c’e disco e disco.

AMANDA LEAR

Donna con un trascorso non dissimile da Grace Jones, cioè fotomodella e cover girl (per i Roxy Music nel 1973) con amicizie altolocate nel mondo della moda e della cultura (Salvator Dalì, lo stesso Warhol e David Bowie). Cosa si può ancora dire di Amanda Lear, personaggio di cui tanto si è parlato all’epoca? Simbolo di libertà sessuale spesso ambigua. Donna estremamente intelligente ed affascinante. Lineamenti duri che hanno giocato molto in suo favore quando si equivocava (per motivi pubblicitari) sul suo essere un travestito o un uomo "operato" o quando la si indicava come risposta all’altro ambiguo del momento, Renato Zero. Tutte notiziole che vuoi o non vuoi fanno colpo nella fantasia più popolare e fanno conoscere il personaggio a varie categorie di pubblico. Un'operazione di lancio sicuramente molto intelligente che si basa sulle curiosità più spicciole di un certo tipo di pubblico. Il personaggio Amanda Lear cantante nasce nel 1975, con il singolo LA BAGARRE, ma non ottiene successo. Che gli arride solo col singolo BLOOD AND HONEY, tratto dall'album I'M A PHOTOGRAPH. Il 1977 è stato indubbiamente il suo anno (TOMORROW è stato un boom di vendita e di sovraesposizione mediatica) ma a quanto pare sta inflazionando anche questo 1978. Basta il suo nome per riempire le discoteche e fare il tutto esaurito. A Novara però si comporta male. Al Palazzetto dello Sport ci sono cinquemila persona ad aspettarla. La serata comincia con Ezio Greggio che cerca di divertire i presenti con battute scontate sulla stessa Amanda ma riesce solo ad ispirare un senso di pena. Alle 22 si presenta la cantante con accompagnamento di ballerini, canta tre-quattro canzoni poi con un "ciao" saluta il pubblico sgomento e se ne va. QUEEN OF CHINATOWN è la canzone che vola in alto nelle classifiche che però Amanda non ama molto. Lei punta di più sul suo prossimo singolo per l’estate che si chiama ENIGMA. Beh, anche il titolo la dice lunga. L’unica speranza è che certi cantanti italiani (a parte Zero) non tentino anche loro la via dell’ambiguità per vendere più dischi: che so, inventarsi che in realtà la Berti sia un colonnello dei Carabinieri oppure Franco Califano una parrucchiera dell’Oltrepò pavese.

Un’altra cantante, proveniente dalla Francia è JENNIFER, che ha in cima alle classifiche delle discoteche DO IT FOR ME, un brano anche questo al limite dell’ambiguità nel quale lei (vero nome Genevieve Benoit, 23 anni) si rivolge ad un’altra donna dicendole fallo per me, bambina, dammi la prova del tuo amore. Ci sono voluti quattro mesi per far salire il disco nelle preferenze dei DJ ma adesso pare che funzioni alla grande.

SANTA ESMERALDA

Dopo il clamoroso successo in tutto il mondo di DON’T LET ME BE MISUNDERSTOOD, ennesimo brano degli anni Sessanta in versione disco, i Santa Esmeralda ci riprovano con un altro pezzo di quegli anni, un altro rock blues in versione 1978. Semplice prevedere un bis, meno facile indovinare che il secondo LP non avrebbe avuto nulla a che fare col cantante del gruppo, Leroy Gomez. Ma andiamo con ordine. All’epoca del primo successo, non si capiva chi fosse il vero protagonista del gruppo, se Leroy Gomez, se le Santa Esmeralda (tre belle ragazze in abiti spagnoleggianti), se fossero davvero un gruppo con origini andaluse etc. Un po’ di chiarezza si era fatta: Leroy Gomez era un apolide con residenza statunitense. Ma quando venne in Italia per lo spettacolo di Capodanno il suo manager tenne a presentarlo col suo vero nome e cognome mentre i discografici per ovvi motivi commerciali preferivano identificarlo col nome del gruppo, Santa Esmeralda. Però in quel momento Leroy aveva già chiuso i rapporti col producer dei Santa Esmeralda e quindi lo stesso manager aveva pensato bene di ricostruire un nucleo pressoché identico a quello appena sciolto: via Gomez, dentro un altro, tale Jimmy Goings, nome artificiale e personaggio di cui non si sa nulla proprio come era accaduto a Leroy l’estate scorsa. In Italia, quando esce il nuovo disco non si sa che il vero artefice del successo di DON’T LET ME BE MISUNDERSTOOD non sarà della partita e l’album viene dato alle stampe col nome di SANTA ESMERALDA 2 senza alcun riferimento al cantante subentrato. Una specie di truffa, tanto più che in copertina non appare nessun personaggio maschile o riferimento al nuovo membro. Che potrebbe essere interpretato in maniera duplice (e subdola): Leroy Gomez è i Santa Esmeralda e quindi potrebbe essere superfluo farlo apparire in copertina. Oppure Gomez non appare semplicemente perché non c’è più. A Parigi si celebra un processo su chi deve tenere il nome Santa Esmeralda. L’entourage di Leroy sostiene che già nel primo album non era ben chiaro, nel senso che Santa Esmeralda doveva essere solo il nome del disco e il cantante non doveva figurare come ospite (feat. oppure starring) ma come reale protagonista. Il tribunale darà il consenso di utilizzare il nome Santa Esmeralda alle tre ragazze, che in realtà figurano solo in copertina limitandosi a ballare dei falsi passi di flamenco e Leroy Gomez continua la sua (breve) carriera col suo vero nome. Ma parliamo un attimo del disco che comunque è entrato in classifica ancora prima che si sapesse tutta la magagna. THE HOUSE OF THE RISING SUN è il singolo apripista tratto dal nuovo album. La canzone è un pezzo molto vecchio appartenente alla tradizione della Louisiana, ripreso dagli Animals nel 1964 e da Bobby Solo nel 1965 col titolo de LA CASA DEL SOLE. La canzone ha un testo abbastanza drammatico, in realtà. THE HOUSE OF THE RISING SUN altri non è che un bordello e le parole dicono che "è stata la rovina di tanti poveri ragazzi". Lo stesso sviluppo armonico , arrangiamento spagnoleggiante, battiti di mano, trombe alla Tijuana Brass. Praticamente la copia carbone del precedente. La differenza è che il primo disco aveva un senso ed era a modo suo originale, il secondo si sente lontano un miglio che è stato fatto per battere il ferro finchè è caldo. Sedici minuti di canzone sembrano esagerati soprattutto se si pensa che ormai le trovate ad effetto che tanto successo ebbero col primo disco sono scoperte e scontate. Tra le altre canzoni del disco (in tutto quattro) c’è un'altra cover, questa volta di un brano di Donovan del 1966, HEY! GYP!

RICCARDO COCCIANTE

Riecco Cocciante, due anni dopo CONCERTO PER MARGHERITA. Certo, uscire con un nuovo disco dopo il successo clamoroso del precedente non è cosa facile. Il pubblico si aspetta che il cantante si superi facendo sempre meglio ma questo non trova quasi mai riscontro nella realtà. I discografici volevano un prodotto similare per continuare un filone che avrebbe avuto sicuramente riscontri eccezionali ma Cocciante era consapevole del fatto che non si può ricreare a piacimento una particolare atmosfera, una vena compositiva felice di un momento che forse rimarrà unico quando lo si vuole solamente per compiacere il pubblico. Ogni disco è storia a se, un periodo che si conclude nella vita dell’artista nel momento in cui il suo lavoro viene terminato. Questo accade ai veri artisti. Cocciante allora decide di cambiare completamente rotta e di fare un 33 senza la ricchezza orchestrale del precedente, senza quel gusto dell’epicità tipica di Vangelis. In RICCARDO COCCIANTE, l’omonimo album con il quale il cantautore italo vietnamita si riaffaccia sul mercato discografico, c’è invece un’atmosfera di rilassatezza e di semplicità. Giovanni Tommasi è il direttore d’orchestra e l’arrangiatore di tutti i brani del nuovo disco (lui faceva parte dei Perigeo). Le canzoni di questo disco come sempre parlano di amore e di amicizia, senza concedere nulla alla facile rappresentazione oleografica dell’innamoratino in stile Peynet. Marco Luberti, il suo autore di testi, sviluppa questi argomenti con la consapevolezza che non sono sentimenti facili da trovare dietro l’angolo. Le canzoni sono realmente "sentite" e il "mestiere" dell’autore non viene percepito e questo è un gran pregio dei grandi autori, veramente pochi nel panorama dei parolieri italiani. Cocciante- Luberti è stata una coppia alla Battisti-Mogol per quanto il primo (Luberti) surclassi il secondo (Mogol) in sostanza ed eleganza. Mogol lo frega in mestiere e furbizia, qualità che comunque poco hanno a che fare con la vera bravura. Tristezza, rimpianto e nostalgia sono i temi legati a doppio filo agli argomenti amore/amicizia del disco. Il brano scelto come singolo è molto triste e come tutti i brani tristi è anche molto bello. A MANO A MANO, l’esaurirsi di un amore che fu grande ed adesso è ridotto ad una tiepida fiammella perchè il tempo non risparmia nulla, neanche i sentimenti più grandi. E' anche il primo album che porta il nome di Cocciante, di solito destinato all’album di esordio. Questo invece è il sesto per il cantautore. Nei primi cinque c’era sempre una canzone importante che poteva suggerire il titolo all’album (POESIA, ANIMA, L’ALBA e CONCERTO PER MARGHERITA). Fa eccezione MU, che è un concept album, dal quale venne estrapolato UOMO.

Ci si può esibire al Festival Dell’Unità e contemporaneamente esibirsi ad un festival patrocinato da Pinochet, quello di Vina Del Mar. Per le cantanti italiane pare che si possa. Per Iva Zanicchi, che passa dalle feste dell’Unità a quelle dell’Amicizia (DC), non ci sono problemi. Una vera professionista non si deve porre alcun limite o rimanere schiava di un'etichetta rischiando di non poter più lavorare. Ombretta Colli, altra partecipante e convinta femminista con tanto di collanone e zoccoli comprati in farmacia ai cortei è allettata dalla presenza di 35 televisioni estere, la maggior parte di lingua spagnola. In Italia farà l’impegnata, all’estero la cantante. Lo stesso problema non se lo pongono i Daniel Sentacruz Ensemble e la Lollo. Fino all’ultimo però hanno nicchiato, non per convinzioni politiche ma per un referendum locale in risposta alla condanna dell’ONU per la violazione dei diritti civili, che poteva significare contratti mandati a monte. Ed è per questo che i cantanti italiani hanno provveduto a farsi pagare in anticipo. Insomma, come si diceva nel 1500, Francia o Spagna, purchè se magna.

Grane giudiziarie per Mia Martini. Mia, quando era ancora legata alla Ricordi con un contratto in esclusiva, decise di cambiare casa discografica (era il 1976) e naturalmente la Ricordi la portò in tribunale. Condannata dal pretore a risarcire la sua vecchia casa discografica ed a pagare le spese processuali. Il tutto per circa novantacinque milioni di lire. Una bella sommetta anche per una cantante di successo ma specialmente per una spendacciona come la Martini. Difatti non potendo disporre immediatamente di una simile somma (anche perché non è una di quelle cantanti che fanno serate su serate e vendono centinaia di migliaia di dischi data la qualità della sua sofisticata produzione) si è vista sequestrare i guadagni per almeno un anno. In più, secondo il magistrato, con l'obbligo di incidere gratis un disco per la Ricordi. Cosa che poi non avverrà.

Tempo di lutti per la musica europea a americana. In Francia muore l’idole dei copains, Claude Francois, detto Clo Clo. È davvero una stella per i francesi, il più seguito insieme a Johnny Halliday. Nato ad Alessandria d’Egitto, aveva 38 anni. Nel 1967 fonda una sua casa discografica, la Fleches Disques e diventa editore di due riviste musicali e di un agenzia di modelle. Già nel 1973 rischia la morte a causa di un grave incidente stradale. Nel 1976 una bomba scoppia a pochi passi da lui e nel 1977 un elicottero esplode pochi attimi dopo la sua discesa dallo stesso. Certamente questa è sfortuna, se non fosse davvero sfortuna si potrebbe pensare ad attentati per la strana casualità degli eventi. Poi muore ufficialmente cambiando una lampadina in bagno (la sua casa discografica si chiama Fleche, lampo!) anche se la vera causa della morte viene attribuita ad altri fatti che probabilmente, se rivelati, nuocerebbero alla sua fama di tombeur de femmes.

Se non fosse per la tragicità dell’evento si direbbe che i Chicago e i Blood, Sweat & Tears tendano a copiarsi fino in fondo. I due gruppi del jazz rock americano perdono un "militante" ciascuno, in maniera irreversibile. Difatti dopo la scomparsa del chitarrista dei Chicago è ora il turno del sassofonista trentenne del gruppo dei BS&T. È accaduto durante un tour ad Amsterdam. Causa della scomparsa: overdose. C’è chi dice che si trattava di droga pesante altri di eroina cinese, vendutagli come cocaina. Sembra però che Gregory Herbert avesse anche una forma non lieve di diabete. I BS&T annullano naturalmente il tour e tornano negli USA senza fare la promozione europea del nuovo album che nel frattempo è uscito anche da noi, BRAND NEW DAY. Terry Kath, dei Chicago, si uccide giocherellando con la propria pistola durante una festa. Secondo testimonianze aveva cominciato a roteare la pistola automatica come un cowboy e quando un amico gli disse di piantarla, perchè avrebbe potuto essere pericoloso, lui rispose di no perché era scarica e volendolo dimostrare si punta la pistola alla tempia e fa bum. E questa, nonostante le apparenze, purtroppo non è una barzelletta sui carabinieri!

Christian Calabrese