Settimana 23 Dicembre 1984
( Ciao 2001 )

Qui sotto la classifica della settimana con le quotazioni di Giancarlo Di Girolamo, uno dei più noti collezionisti e commercianti italiani di vinile. Il prezzo segnato a margine dei titoli corrisponde a quello assunto dai dischi in condizioni ottime (non usati) nelle odierne mostre-mercato.

# TITOLO INTERPRETE Quotazione
1Careless Whisper George Michael€ 9
2I Just Called To Say I Love YouStevie Wonder € 8
3Forever Young Alphaville € 9
4The Wild Boys Duran Duran € 9
5Smalltown Boy Bronski Beat € 9
6Love Resurrection Alison Moyet € 8
7The War Song Culture Club € 9
8Why? Bronski Beat € 9
9Telephone Mama Gazebo € 8
10Your Love Is King Sade € 9

Classifica 33 giri

# TITOLO INTERPRETE Quotazione
1The Woman In Red Stevie Wonder € 15
2Arena Duran Duran € 15
3Diamond Life Sade € 13
4Perfect Strangers Deep Purple € 15
5Aloha Pooh € 18
6Cuore Antonello Venditti€ 13
7Viaggi Organizzati Lucio Dalla € 15
8Isolation Toto € 13
9Waking Up With The House On FireCulture Club € 14
10Catene Mina € 22
Tirando la somma dell’anno (1984) che ormai volge al termine c’è da considerare una grave crisi del disco, che questa volta non è il solito ritornello dei discografici ma le realtà del fatti. Tante importanti case discografiche, attivissime negli ultimi venticinque anni, da qualche tempo vivono con l’incubo della chiusura o con il pensiero di dover cedere baracca e burattini a qualche multinazionale americana o tedesca. Le rese dei negozianti alle case discografiche sono passate dal 4° - 5% dei tempi d’oro al 40 e 50% dei giorni d’oggi. Nel 1982 si sono venduti in totale 56 milioni di pezzi, 45 milioni nel 1983 e nel 1984 siamo arrivati alla cifra di 32 milioni. Come mai questa discesa vertiginosa? La colpa la danno alle cassette. Difatti in Italia si venderebbero ogni anno circa 40 milioni di cassette vergini utili alla registrazione dei dischi. I ragazzi difatti comprano meno dischi. Preferiscono farseli prestate dagli amici o in classe e se li registrano con comodo a casa. Poi ci sono le cassette pirate, quelle che si vendono per la strada o nei mercatini come Porta Portese a Roma. Le paghi 3-4mila lire contro le 18 mila di un disco appena uscito. Queste le ragioni principali. Ma anche perché mancano personaggi che con la solo loro presenza sanno far smuovere le acque stagne del mercato. A parte i Duran Duran (contrapposti con furbizia dalla stampa e dalle rispettive case discografiche agli Spandau Ballet) non si vede niente di nuovo in giro. Manca una rivoluzione in stile Beatles. Stesso problema per il cinema. Pochi spettatori per il caro-biglietti. Conviene affittare o acquistare le cassette pirate che vanno davvero forte grazie anche al boom dei videoregistratori.

Una classifica che parla prettamente inglese. Inglese, non americano. Con la sola eccezione dei Toto e Stevie Wonder. Poi c’è l’inglese sassone, che è quello degli Alphaville e l’inglese italiano che è quello di Gazebo, al secolo Davide Prezzemolini. Per il resto, per trovare un singolo italiano nella classifica a 45 giri bisogna andare alla 15° posizione dove troviamo Antonello Venditti, un cascame della bella stagione ormai desolatamente lontana, con CI VORREBBE UN AMICO, con 16 settimane di presenza. Il discorso cambia quando si tratta degli album anche se questa volta i fatti non mi danno molto ragione. Difatti gli anni ottanta a 33 giri sono stati il regno incontrastato degli artisti italiani ma questa settimana ne troviamo soltanto quattro tra i primi dieci, che però sono di un livello più che accettabile. Ecco infatti gli ex numeri uno della classifica di qualche settimana fa ossia i Pooh, poi di nuovo Venditti (21 settimane di presenza e quindi il più antico disco in classifica tra i primi dieci), Lucio Dalla e il nuovo di Mina, doppio come sempre in questi anni.

Bronski Beat

C’è però un complesso, o meglio un trio, che ha addirittura due singoli in classifica e un album al 12° posto e sono i Bronski Beat e il loro disco d’esordio è davvero una miniera di successi a 45 giri cantati con la voce in falsetto del leader Jimmy Sommerville, un rosso (di capelli) omosessuale con tanta energia in corpo. Essendo loro attivisti del movimento gay inglese sono molto politicizzati, ma in Italia quasi non ce ne accorgiamo. O meglio gli adolescenti non ci fanno molto caso (tranne quelli gay, naturalmente). Badano più alla musica ed al suono che alle parole (anche perché sono in inglese) Ogni canzone è uno spaccato sociale dell’Inghilterra anni ottanta, una denuncia contro la società (con argomento privilegiato la tematica gay). Ma c’è anche il pacifismo e l’impegno antinucleare molto sentito in quegli anni quando ancora esistevano i due blocchi est-ovest. Una lunga e dettagliata lista di paesi in cui l’omosessualità è permessa ed altri no (completamente illegale in Romania, Russia e Cina – punibile in certi casi con la morte) e stranamente legale in Polonia dall’età dei quindici anni. Testi semplici ma crudi, delle volte tribunizi ed alte no, conditi con ritmi elettronici che ben si accostano alla voce stridula (e per certi versi monotona) del cantante leader. SMALLTOWN BOY è la canzone che li ha lanciati a settembre in tutta Europa ed è un aperta denuncia al moralismo borghese sulla scottante questione. Un omosessuale di provincia in un'Inghilterra anni ottanta in cui il modello preponderante è l’hooligan da stadio. Niente di così lontano tra loro. Persone che subiscono violenze morali più che fisiche. Le parole sono sintomatiche: l’andarsene di mattina dalla città con tutto quello che si possiede, una valigia nera. Solo sul binario con il vento e la pioggia che ti sferzano la faccia e con tua madre che non capisce il perché di una decisione simile. Non troverai mai l’amore a casa e non troverai mai comprensione nella piccola città che ti ha sempre preso a calci. Hanno colpito così duro da farti piangere ma tu non hai pianto perché non avresti mai pianto per loro ma per la tua anima. Questa è una sommaria traduzione del testo. Il loro outing prende alla sprovvista anche i genitori dei tre che apprendono della condizione dei figli solo grazie alla rivista New Musical Express. Però, per il momento, fanno tanti soldi. Quindi, meglio non scandalizzarsi più di tanto. Jimmy Sommerville (un ragazzo sinceramente molto brutto) si infastidisce dal fatto che persone che prima lo prendevano a calci nel sedere dandogli della checca ora gli dispensano sorrisi. Ma è così. Stai tranquillo, caro Jimmy: quando smetterai di avere successo ritorneranno a prenderti a calci nel culo dandoti della checca. Come ora, ridotto ad essere una guest star nel locale Toretta Style a Roma, che sarà anche trend e simpatico (sarebbe il locale che ha lanciato la moda delle canzoni dei cartoni animati e delle sigle tv in discoteca alla fine dei novanta) ma che è lontano anni luce dalla ribalta degli MTV Awards del periodo.
In quegli anni tantissimi gruppi e cantanti scelgono la via dell’ambiguità: in Inghilterra usano invece la parola outrageous che letteralmente significa oltraggioso ma nel parlare comune ha un altro significato. A parte i Culture Club, troviamo gli Smiths di Morissey, i Depeche Mode,i Frankie Goes To Holywood e Marc Almond dei Soft Cell. Poi ci sono quelli mascherati come gli Wham! di George Michael. Scelgono il nome di Bronski che è il cognome del protagonista del Tamburo di Latta di Gunther Grass che usa il tamburo per rompere ogni resistenza attorno a se e smascherare ogni ipocrisia. E’ anche il cognome di uno dei componenti ma questo è una coincidenza. I loro nomi, a parte Sommerville, sono Larry Steinbacheck e Steve Bronski. I due senza Jimmy avevano fondato un duo di synth ma le cose marciavano molto in stile calma piatta, cioè non accadeva niente. Poi incontrano Sommerville e il suo falsetto talmente particolare da donare un’impronta definitiva al gruppo. Va da sé che ne diventa il leader. Cominciano così i primi concerti nei clubs londinesi e poi al Pink Festival che sarebbe un festival di matrice gay. Fino al successo definitivo a livello prima nazionale e poi europeo. WHY? è il secondo singolo a scalare velocemente le classifiche ed è un punto interrogativo sul perché di tanta violenza nel mondo (molto banale e buonista). Nel disco c’è anche una versione molto particolare di AIN’T NECESSARILY SO di George Gershwin e una bella cover di I FEEL LOVE di Donna Summer. L’uso moderato di strumenti elettronici accoppiati ai fiati e a strumenti un po’atipici per dei complessi pop come il violoncello, rende il 33 giri molto interessante e poco noioso (sentire una voce in falsetto per 45 minuti può diventare pesante). Boy George & Culture Club

Boy George e i Culture Club sono ancora in classifica. E’ quasi praticamente impossibile non trovarli da un anno e mezzo a questa parte. In qualsiasi periodo dell’anno c’è un singolo dei Culture Club (o un album) tra i primi venti. Questa è la volta di THE WAR SONG, canzone davvero insipida ma che comunque trova senza difficoltà la strada giusta per sgomitare tra i primi dieci. E’ di questi giorni la notizia che Boy George sia riuscito a guadagnare il suo primo milione di sterline più rapidamente di qualsiasi artista inglese. Un dato che fa riflettere sul grado di popolarità che il gruppo ha raggiunto. Tra un tour e l’altro Boy George e il suo gruppo continuano a sfornare dischi e successi in gran quantità. Hanno inserito due brani inediti nella colonna sonora del film ELECTRIC DREAMS che si intitolano THE DREAM e LOVE IS LOVE, canzone, quest’ultima, che sarà un successo coi fiocchi anche nelle classifiche italiane. Per la cronaca, tra gli altri artisti che hanno partecipato alla colonna sonora troviamo Jeff Lynne della Electric Light Orchestra, Giorgio Moroder, e gli Heaven 17. Ma quello che forse potrebbe interessare la legione di fan italiani del gruppo è il nuovo 33 giri intitolato WAKING UP WITH THE HOUSE ON FIRE (svegliarsi con la casa in fiamme) tratto da un film di Doris Day, attrice americana di cui il cantante (che ora s’è fatto biondo e si è parzialmente struccato) è un grande estimatore. Per quanto riguarda i contenuti musicali, questa volta il gruppo ha puntato su suoni e canzoni di maggiore impatto immediato. E’ storia recentissima il loro concerto all’arena londinese di Wembley dove in sei serate hanno raccolto 60mila persone. Anche se qualcuno malignava del fatto che non era realmente tutto esaurito come recitava il cartello al di fuori del complesso (sold out) e come scriveva la rivista Time Out London. Sono stati comunque sei appuntamenti che hanno confermato la grande popolarità della band; successo eclatante, luci programmate dai computer, un palco da far invidia ad una rappresentazione dell’Aida di Zeffirelli, un cambio di costumi che nemmeno Renato Zero ai suoi tempi. La cosa che forse ha colpito negativamente è la voce del leader, che mentre è facile da manipolare in studio, dal vivo rende quello che è nella realtà. Escono dal semi anonimato (perchè schiacciati dall’immagine prorompente di Boy George) gli altri tre componenti del gruppo che dimostrano di saperci fare davvero con gli strumenti. Intanto, il gruppo è il vincitore della categoria complessi per il 1984 in Italia, dopo un referendum indetto dai giornali del settore. Battono i Duran Duran che si piazzano al secondo posto. Gli unici italiani nella classifica dei primi dieci sono i Pooh (sesti) e i Ricchi & Poveri (settimi). Mentre stravincono nella categoria artisti dell’anno con tre singoli e due LP in classifica seguiti da Paul Young al secondo e i Duran Duran al terzo. Primo nome italiano è Gianna Nannini, che occupa il quarto posto grazie al mega successo estivo FOTOROMANZA e l’album PUZZLE.

Frank Sinatra

The Voice comes back. Frank Sinatra, nonostante i suoi ripetuti addii alle scene ritorna in pista e lo fa nell’anno delle olimpiadi di Los Angeles, dedicando a questa megalopoli la canzone L.A. IS MY LADY (Los Angeles è la mia signora) e il relativo album. Molti criticano l’operazione nella quale vedono uno scopo puramente commerciale ma Frank Sinatra può aver bisogno di un pretesto simile per vendere qualche disco in più? Sinceramente no. In Italia il disco comincia a farsi strada nelle classifiche verso novembre proprio durante una tournèe in Europa dell’immarcescibile 68enne. La canzone guida è nello stile Las Vegas: grande dispiego di mezzi e di strumenti swingati a metà strada tra CHICAGO e NEW YORK NEW YORK (intese, naturalmente, come canzoni). Adatta ad essere interpretata sulle scene di un teatro tipo Ceasar’s Palace, in Usa sale rapidamente le vette della classifica anche perché il risultato finale dell’intero disco non è soltanto all’altezza ma travalica di gran lunga il livello medio della produzione del momento. Una lezione di classe e di professionalità per tutti.

Stevie Wonder

Forse è la canzone più scontata e banale di tutta la discografia di Stevie Wonder ma certamente (purtroppo) anche una delle più famose in assoluto. Tentenniamo nel dire la più famosa perché sarebbe davvero uno smacco verso canzoni-capolavori come ISN’T SHE LOVELY o MY CHERIE AMOUR tanto per fare dei titoli. Se davvero fosse così, sarebbe triste. I JUST CALLED TO SAY I LOVE YOU è una di quelle melodie che senti da vent’anni ovunque: negli ascensori degli alberghi, nelle musiche d’attesa al telefono, nelle radio generaliste di soli successi, etc. Per chi scrive non è soltanto brutta ma anche noiosa e molto poco nello stile del cantante cieco. Un testo che più banale non si può, una musica troppo orecchiabile, ingenua, così troppo semplice che quasi stupisce. Però, torniamo a ripetere, è un successo clamoroso quindi davanti ai dati non si può dire più di tanto. Anche il film da cui è tratta (LA SIGNORA IN ROSSO) nonostante sia del simpatico attore e regista Gene Wilder e sia un remake del film francese CERTI PICCOLISSIMI PECCATI è noioso e prevedibile. Però, ripeto, ha avuto successo anche il film di cui tutti ricordano il cartellone pubblicitario con la modella Kelly Le Brock in una posa simile a quella di un'altra locandina altrettanto famosa (anzi, di più, QUANDO LA MOGLIE E’ IN VACANZA con Marilyn Monroe) in cui fa intravedere un paio di gambe che se fossero reali (?) e non ritoccate dal fotografo sarebbero troppo perfette. Dionne Warwick convince Stevie a scrivere un pezzo per la colonna sonora, film che lei aveva visto in anteprima e che aveva apprezzato. Così Wilder ha organizzato una proiezione per Stevie Wonder (in braille???) in cui gli ha spiegato ciò che avveniva sullo schermo (e pensare che il film ha una scena in cui c’è un falso cieco!). Wonder dopo un paio di giorni aveva già scritto le canzoni. Certo è che il cantante era quattro anni che non faceva più un disco, dal bellissimo album HOTTER THAN JULY, del 1980. Poi due anni dopo, nel 1982, insieme a Paul McCartney aveva dato vita ad un duetto memorabile in EBONY AND IVORY e WHAT’S THAT YOU’RE DOING. Doveva scrivere un album per la Streisand ma il non facile carattere della diva ha forse fatto desistere l’autore che tra l’altro è famoso per la sua proverbiale disponibilità e bontà d’animo. Però una canzone aggiunta come inedito al doppio album di successi ORIGINAL MUSIQUARIUM, canzone dal titolo RIBBON IN THE SKY, fa pensare ad un incompiuta con la cantante ebrea, essendo particolarmente adatta alla voce di Barbra. Poi alcuni cameo in album di altri cantanti (Manhattan Transfers e Elton John). Nel 1984 un grosso tour europeo lo porta anche in Italia e a settembre, chi è a Roma, Milano e Udine ha la possibilità di vedere uno dei più grandi artisti della fine del ventesimo secolo all’opera. Ed eccoci al disco vero e proprio. Stupisce il fatto che il vero autore della musica originale del film (che comunque non è l’autore di I JUST CALLED TO SAY I LOVE YOU), John Morris, è praticamente assente! Ci sono due duetti con Dionne Warwick, due canzoni veramente molto belle e importanti, nel puro stile della migliore tradizione americana. Due canzoni di gran classe che si chiamano IT’S YOU e WEAKNESS. Poi anche momenti ritmici (peccato che Stevie Wonder si sia affidato alle orribili tastiere elettroniche, croce e delizia dei famigerati anni ottanta, capaci di rovinare una canzone stupenda riducendola a banale e stereotipata) come THE WOMAN IN RED (dal titolo del film) e LOVE LIGHT IN FLIGHT dove la voce del cantante sovrasta ogni cosa (facendolo in modo egregio) e DON’T DRIVE DRUNK, dove si gioca tra strumenti ubriachi e si cerca di sensibilizzare la gente al problema della guida in stato di ebbrezza. Poi un assolo della Warwick con MOMENTS AREN’T MOMENTS con un arrangiamento moderno e classico nel contempo (purtroppo oggi datato dall’utilizzo della tastiera elettronica).

Bob Geldof

Succede che una mattina, un musicista di medio calibro, con una band di medio successo, da tirare avanti, si svegli un po’ più intronato del solito, vada a cercare qualcosa da bere per fare colazione e venga fulminato da un idea davanti al frigorifero. Un’ idea che lì per lì sembrerebbe un po’ scema e sicuramente poco realizzabile. Difatti come si fa a pensare di mettere davanti ad un microfono in contemporanea personaggi come Paul McCartney, George Michael, Sting, Paul Young, Phil Collins, i Duran Duran e via dicendo senza che qualcuno ti dica se sei scemo o cosa? Questa è l’idea che venne a Bob Geldof, leader dei poco noti Boomtowns Rats e noto idealista/utopista, una mattina, forse la più importante di tutta la sua vita . Fare un disco per raccogliere i fondi per l’Africa, un disco che riesca a sfamare migliaia di bambini che non hanno altro che mosche intorno. Sarebbe un bel colpo, sicuramente. Ma Bob non pensa ad un successo personale bensì a qualcosa che possa gratificarlo come essere umano. Riuscire a fare qualcosa per gli altri, dare un senso alla propria vita e magari, perché no, farsi anche ricordare dai posteri come una brava persona. Ma questo credo non abbia avuto una grossa rilevanza nei pensieri del cantante. Certamente non lo conosciamo ma guardando al suo comportamento futuro si può senza dubbio affermare che è stata un idea totalmente in buona fede. Bob Geldof ha continuato la sua vita di musicista senza mai grossi clamori, quasi in sordina, con dentro, forse, l’orgoglio di aver contribuito a far nascere qualcosa di buono ed imitato parecchie volte negli anni a seguire. Ecco, forse questi tentativi successivi sono da considerarsi poco spontanei! Comunque, ci riesce e mette su un gruppo chiamato Band Aid che viene subito accolto con diffidenza in patria. Molti giornali specializzati criticano il progetto per scarsa professionalità, ricordando che simili iniziative consentono agli artisti di dedurre le tasse al fisco inglese. Il disco esce improvvisamente e raggiunge la vetta delle classifiche in un batter d’occhio, merito anche dell’orecchiabilità della musica e del testo, non eccessivamente buonista, in cui ci si limita ad elencare quello che le persone più fortunate avranno a Natale e quello che invece accadrà ai più negletti (c’è un mondo dietro alla tua finestra ed è un mondo fatto di paura e di timore in cui la cosa migliore che può capitare è l’amaro pungere delle lacrime). Bob Geldof è aiutato nella stesura da Midge Ure. La jam session comincia il 25 novembre 1984 alle 11 e termina alle sette di sera. Mentre si registra il disco si pensa anche al filmato che viene poi montato con scene in cui si vedono africani ridotti allo stento. Phil Collins è l’artefice della rullata in stile africano all’inizio del brano e Paul Young apre le danze cantando la prima riga (Its Christmas time there’s no need to be afraid) e Sting naturalmente si cuce ad personam la frase già tradotta e tra parentesi, che dice the bitter sting of tears e che in italiano si può tradurre solo in quella maniera (se qualcuno ne sapesse un'altra, non essendo io nato a Stratford on Avon, si faccia avanti). Il 15 dicembre esce nei negozi inglesi. Arriva al primo posto e ci rimane per cinque settimana vendendo ben tre milioni di dischi. Record imbattuto fino alla squallida iniziativa di Elton John quando nel 1997 fece ristampare CANDLE IN THE WIND dedicato alla defunta moglie di Carlo d’Inghilterra (che con le sue gesta di dubbia regalità e moralità avrebbe forse dovuto far pensare casomai ad un'altra canzone, scritta da Michael Jackson ed inclusa nell’album BAD...). In Italia il disco arriva in sordina. Troppo veloce la distribuzione rispetto ai tempi dei giornali specializzati. Esce il disco e nessuno-dico-nessuno si trova preparato a recensirlo in tempo con un servizio fotografico della sessione avvenuta 15 giorni prima. Neanche il settimanale che si picca di essere sempre al posto giusto quando si tratta di spettacolo. Essendo poi una canzone tipicamente legata alle feste natalizie, è normale che perda d’attualità dopo la Befana e quindi saranno pochi (in realtà non ne abbiamo trovato neanche uno) i giornali che si occuperanno con dovizia di particolari dell’operazione . Sta di fatto che già 5 giorni prima di Natale le radio italiane, private e non, bombardano gli utenti con il singolo che ottiene subito immediato successo raggiungendo le vette più alte della classifica dei singoli più venduti. Anche se non appare sulla carta, sarà il 45 giri più venduto sotto le feste natalizie. Quest’anno c’è stata la riesumazione del progetto con la Band Aid 20 (quel venti sta per vent’anni dopo) e sebbene sia stato un successo in patria la nuova versione 2004 di DO THEY KNOW IT’S CHRISTMAS TIME fa davvero venire il latte alle ginocchia, tanto da far rimpiangere i vari Paul Young, Simon le Bon e Tony Hadley, di cui i più bastian contrari all’epoca dicevano: mica saranno cantanti questi qui! Perché si facevano i paragoni con i vari Rolling, Beatles e la generazione precedente di musicisti albionici. Ora, come c’è chi rivaluta film come PIERINO CONTRO TUTTI, è sicuramente il caso di rivalutare (per chi non l’abbia già fatto) quei personaggi che negli anni ottanta venivano guardati con diffidenza. Perché, come si sa, al peggio non c’è davvero mai fine! E per i più enciclopedici ecco tutti i partecipanti alla sessione del 1984: Phil Collins; Bob Geldof, Simon Crowe, Peter Briquette, Johnny Fingers (Boomtown Rats); Steve Norman, Tony Hadley, Martin Kemp, John Keeble, Gary Kemp (Spandau Ballet); Midge Ure, Chriss Cross (Ultravox); Paul Young; John Taylor, Simon Le Bon, Roger Taylor, Andy Taylor, Nick Rhodes (Duran Duran); Glenn Gregory, Martin Ware (Heaven 17); Marilyn; Jody Watley; Keren, Sarah, Siobhan (Bananarama); Paul Weller; Peter Blake; James Taylor; Robert Bell, Dennis Thomas (Kool and the Gang); George Michael (Wham); Francis Rossi, Rick Parfitt (Status Quo); David Bowie; Paul McCartney; Holly Johnson (Frankie Goes to Hollywood); Sting; Jon Moss, Boy George (Culture Club).

Junior

Dai campi da gioco al microfono: per un brasiliano è cosa normale. Lui è Junior (o meglio Junio Leovegildo Lins Gama) e gioca nel Torino. Alla fine di questo campionato avrà collezionato 26 presenze e sette goal. Non male per un difensore. E’ un grande giocatore e titolare della nazionale brasiliana. Nel 1982 incise un disco, una samba, che fu un grosso successo in patria. Il titolo è VOA, CANARINHO,VOA. Avrebbe dovuto essere la canzone in grado di portare alla vittoria finale della competizione spagnola la squadra carioca. Ma poi il Brasile ha incocciato nei cross di Bruno Conti e nella testa e nelle gambe di Paolo Rossi e addio mondiale. Quel VOA CANARINHO VOA non lo volle ascoltare più nessuno. Ora Junior ci riprova senza nazionalismi calcistici e i dodici titoli del disco portano la firma di grandi autori della musica carioca come Martinho da Vila (quello di CANTA CANTA MINHA GENTE, tradotto in italiano per la Vanoni in CANTA CANTA). Dodici canzoni che volano leggere anche grazie al talento del simpatico calciatore. Ma naturalmente, il disco non se lo compra nessuno!

Ombretta Colli

Il nuovo album di Ombretta Colli ricalca un po’ al femminile quello che il marito Giorgio Gaber fa ormai da anni e cioè riportare su disco gli spettacoli teatrali. Lo spettacolo che la Colli presenta nei teatri italiani con grande successo si chiama UNA DONNA TUTTA SBAGLIATA, messo in scena proprio insieme al marito. Un assolo di due ore nelle quali l'intelligente artista mette in scena i problemi e le contraddizioni di una donna che si avvicina alla soglia dei quaranta. Le canzoni che troviamo sono quasi tutte già edite nel corso di questi anni ottanta. Alcune veramente intelligenti e gustose come CON QUELLA FACCIA DA ITALIANO o SARA’ CHE ME NE FREGO, del genere tipico della coppia Gaber-Colli. C’è anche un brano col testo di Tenco, LUIGI E GLI AMERICANI. I testi della commedia musicale sono stati scritti da lei stessa insieme al marito, a Sandro Luporini e Giampiero Alloisio. Questo disco (che essendo tratto da una commedia teatrale non avrà molto successo) è edito dalla Fonit Cetra. Quindi la cantante ritorna alla Fonit dopo un breve periodo alla RCA (1981-82).

<>Arnold

Fa notizia l’operazione al rene di Gary Coleman. Chi è Gary Coleman? E’ il famoso Arnold della serie IL MIO AMICO ARNOLD che va in onda su Italia Uno con grandissimo successo da circa 4 anni. Il titolo originale è DIFFERENT STROKES e viene mandato in onda dalla rete americana NBC. Gary Coleman come tutti sanno (o meglio, sapevano) non era un bambino di 8-9 anni. Bensì un ragazzetto di 16, essendo nato nel febbraio del 1968. Una disfunzione al rene e un inserimento di un altro rene (operazione non riuscita bene) ne ha condizionato la crescita, facendolo rimanere della dimensione di un bambino di 8-9 anni. Ora Gary Coleman è ricco e lo conoscono tutti come Arnold (che cavolo dici, Willie – era solito ripetere al fratello del telefilm) e ha deciso di crescere in tutti i sensi, infischiandosene se poi non potrà più interpretare il personaggio che gli ha fatto guadagnare migliaia di dollari. Restare per tutta la vita un negretto di 1 metro e 30 centimetri non sarebbe stato molto allettante. Per restare in tema tv, i network di Silvio Berlusconi sono stati oscurati a Torino e a Roma. Ma nel 1984 (dieci anni prima della sua discesa in politica) i giornali e i media di tutte le parti politiche si sollevano indignati contro la libertà dei singoli cittadini di poter scegliere tra reti pubbliche e reti private. Tanto più che migliaia di spettatori prendono di mira i centralini della Rai e dei quotidiani italiani per esprimere il loro disaccordo contro questa decisione dei pretori per i quali la caduta alla Camera del decreto legge che aveva annullato il via libera ai network riporta in vigore il divieto di mettere in onda programmi in contemporanea nazionale, cosa che, secondo un'arcaica legge, spettava solo alla Rai. Solerti i Pretori ad oscurare il video, solerti i teledipendenti a reagire con veemenza, anche perché per altre reti nazionali come Rete A, Euro Tv e Elefante non è stata applicata la legge. Addirittura una manifestazione di telespettatori a Torino. Tanto più se c’è di mezzo una puntata di Dallas o di Segreti. Guai a perderla! E guai a perdere gli elettori: chi si assume la responsabilità di impedire la visione di J.R agli italiani? O Bim Bum Bam con Bonolis o Premiatissima con Johnny Dorelli? In men che non si dica, tutti d’accordo. Fatta la legge, scampato pericolo.

<>Isa Pola

Per la serie chi viene e chi va ecco un’altra partenza con biglietto di sola andata, quella di un attrice a cavallo tra il muto e il sonoro, Isa Pola, nata Luisa Betti di Montesano, a Bologna nel 1909 (o almeno così vogliono far sapere le biografie). Muore a Roma all’Ospedale san Camillo per un tumore. E’ stata una delle prime incarnazioni del divismo made in Italy. Debutta nel 1925 in MIRIAM ma il successo vero le arriva con il primo film sonoro italiano, nel 1930, LA CANZONE DELL’AMORE. Le sue caratterizzazioni furono sempre quelle di donna di gran classe ed emancipata. Seppe anche fare scelte scomode come affrontare il teatro impegnato, al massimo fulgore della sua carriera, nel 1932, tutto a discapito dei facili guadagni cinematografici. Tornata dopo quella parentesi al cinema inanellò una serie di grandi successi di pubblico come ACCIAIO o CAVALLERIA RUSTICANA. Diede l’addio al mondo del cinema nel 1958 con un cameo in AMORE E CHIACCHIERE di Blasetti e alla vita terrena il 17 dicembre 1984, un lunedì qualsiasi.

Raffaella Carrà

Nostra Signora Dei Miracoli, ovvero Raffaella Carrà, riesce in un altro dei suoi miracoli e cioè far apparire il Papa nella trasmissione PRONTO RAFFAELLA. Non ci era mai riuscito nessuno, forse anche perché prima di allora non c’era stato nessun Papa abbastanza spiritoso e disposto al gioco. Nella Sala Nervi del Vaticano il Papa incontra la troupe della trasmissione che dice di seguire sempre perché foriera di valori e di ideali (quali? quelli dei fagioli?) e che riunisce le famiglie all’ora di pranzo (veramente i ragazzi escono da scuola alle 13 quando la trasmissione è già quasi finita) contribuendo in tal modo ad un autentico programma morale e religioso. Magari sarà senza dubbio esagerato, ma che doveva dire quel povero Papa bersagliato da telecamere e macchine fotografiche nella testimonianza dell’incontro tra il Papa e la Papessa Raffa? Raffaella apre il programma emozionatissima, in odore di santità (ha appena ricevuto la benedizione apostolica). E avverte i telespettatori a casa che ha fatto gli auguri di buon Natale al Papa anche a nome loro (ora sì che si possono sentire importanti!). Indossa una coroncina di perline bianche che aveva ricevuto dalle mani del Pontefice e dalla quale giura che non si separerà mai. A proposito, l’altra domenica a Porta Portese ho visto una coroncina di perline bianche che dicevano benedette dal Papa in persona. Niente niente che...

E con questa ultima cretinata è tutto. Un augurio di Felice Anno Nuovo e di Buona Befana a chi ci legge e a chi se ne guarda bene (come dargli torto?) Ci rivediamo a metà gennaio!

Christian Calabrese